La giuria :Presidente/Rolando Perri – Dirigente scolastico, studioso donmilaniano, saggista e recensore letterario – Componenti/Antonella Daffinoti – Scrittrice e poetessa – Maria De Fazio –Operatrice sociale e divulgatrice culturale – Elvira Dodaro –Avvocato e poetessa – Tommaso Orsimarsi – Scrittore e saggista – Concetta Natoli – Poetessa e scrittrice –
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
mercoledì 20 agosto 2025
La poesia di P. Cascini "A Micaela Maria nata in piena pandemia" la menzione d’onore al concorso internazionale di poesia creativa "una stanza tutta per sé"
mercoledì 30 luglio 2025
Un pomeriggio di poesia a Palazzo Verbania - Luino 27 luglio 2025
Cul magùn in gùra
vàrdi ul dì ca’l và
e ul cò ‘l sbrisìga
fra i ùnd dul mè andà
Poco a poco il sole / annega nel lago / Con l’affanno in gola / guardo il giorno che se ne va / e la testa scivola / fra le onde del mio andare
Pace è questo lago che culla un barcaiolo / sulle onde della notte
nei tuoi sogni di bambino. // Pace è questa falce di luna allo spuntar del
giorno / che nasconde meretrici di uomini ubriachi. // Pace è questo pezzo di
cielo come un paradiso perduto / per ingoiare stregonerie solo per te nascoste.
Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca:
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
lunedì 28 luglio 2025
Successo per il secondo "Streaming internazionale di poesia"
Numerosi poeti, da tante parti del mondo al secondo streaming internazionale di Poesia "Anima e Core”.
Per l'Italia: Cesare
Castiglione, Rende; Prospero Antonio Cascini, Castelsaraceno, Potenza; Fausta
Centomani, Tolve, Potenza; Giuseppe Turiano, Messina; Rossella De Rango, Marano
Marchesato, Cosenza; Rita Scelfo, Palermo.
Per la Spagna: Ana Belén Fernández Garcia (Burgos).
Per il Messico: Rossy Chávez Distretto Federale) e Doris
Zoraida Telles Meneses (Toluca).
Per il Perù: Hernán Luis Anaya Arce (Chancay, Lima) e Clara Salas (Arequipa).
Per l'Uruguay: Josè Lissidini Sánchez (Minas, Lavalleja).
Per il Cile: Lilian Isabel del Rosario Pizarro Araya (Andacollo).
Prospero Antonio Cascini, poeta lucano con la sua poesia “le Orme” ha centrato il tema del reading internazionale di poesia: lui è nato e vive a Castelsaraceno, paese dell’entroterra lucano, a 1.000 metri sul livello del mare e d’inverno spesso è in compagnia della neve…. Che convive col la sua generazione dei pantaloncini corti! Là vive la sua anima. D’estate vive a Marina di Ginosa dal 1974 del secolo scorso: è il cuore…,
Si esprime tanto apprezzamento per l’iniziativa e quindi un
ringraziamento ad Andrea Fabiani , presidente dell’associazione culturale Amici
della poesia di Cosenza e del suo Omologo Argentino Hugo Marsico!
sabato 26 luglio 2025
I limoni, Annuario della Poesia in Italia nel 2024, a cura di Francesco De Nicola, GiammaRò Edizioni, 2025
Pier Vincenzo Mengaldo
scriveva che un’Antologia, com’è del resto questo annuario, è un peculiare
genere metaletterario. In effetti radunare in un unico testo tanti scritti
di diversi poeti e critici letterari è un atto che va “oltre” il
semplice intento letterario. È una specie di dichiarazione di poetica che
costringe il curatore ad uno sforzo di ricerca e di analisi nella valutazione
di quanto accade nel mondo della scrittura.
D’altra parte, solo a
scorrere le pagine di questo prezioso Annuario, ci si accorge di nomi che
rientrano tra i principali protagonisti della produzione letteraria italiana.
Certo, magari per qualcuno, ci sono nomi mancanti. Ma un’Antologia non pretende
di essere la consacrazione né tanto meno una lezione di verità. Si tratta
semplicemente di un riconoscimento, di una presa d’atto che per lo meno la
scrittura è ancora viva e tale pretende di rimanere. Del resto, come viene
esplicitato, nella presentazione, I limoni sono un “prezioso strumento di
aggiornamento e informazione per chi ama la poesia”.
Tutto ciò è ribadito
anche dal saggio “Come (non) fare un’antologia della poesia” di
Francesco De Nicola, che prendendo lo spunto da una recente pubblicazione “Poeti
italiani nati negli anni 60. Letteratura come condizione” (Internopoesia,
2024) a cura di Francesco Napoli, afferma che “di tutti i libri che si
possono pubblicare questo (cioè l’Antologia) ha l’autore più discutibile”
perché spesso “riflette i gusti e le valutazioni” secondo “gli
orientamenti critici del tempo”. E a sostegno della sua tesi riporta vari
esempi, dalle antologie scolastiche a quelle per adepti, che qui è superfluo riferire.
Citerò solo un assunto che condivido in toto: “il compito di un’antologia è
quello di portare alla luce chi luce non ha”, sottolineando, come scrive l’autore,
che spesso le antologie, soprattutto quelle scolastiche, hanno limiti che
pregiudicano la comprensione della poesia, se non del poeta stesso.
L’annuario “I limoni” possiede
a mio avviso una qualità: quella di non presentarsi come il tutto, ma
come parte di un mondo letterario in evoluzione. E lo dimostra andando
direttamente a scegliere le recensioni del presente, in particolare del 2024, di
modo che si dà la possibilità al poeta di presentarsi in una veste critica
riguardante testi di recente pubblicazione, tralasciando invece di riportare,
come le antologie sic et simpliciter, vita e scritti di vari autori autorevoli
e non. Sarà poi il tempo a dar credito o meno ai poeti recensiti.
Va detto che, accanto
alle recensioni, il lettore trova pregevoli saggi che gli permettono una più
matura e completa comprensione della letteratura non solo contemporanea. Mi
limiterò, tuttavia, purtroppo alla sola citazione, sia dei saggi che delle
recensioni, non avendo a disposizione uno spazio necessario per parlare di tutto
e di tutti.
Ecco allora gli autori,
recensori e recensiti, e il contenuto dei vari contributi pubblicati.
I recensori sono: Fabio
Contu, Francesco De Nicola, Alessandro Fo, Alessandro Franci, Giuseppe
Grattacaso, Vincenzo Guarracino, Giuseppe Langella, Massimiliano Mandorlo,
Simona Mancini, Baldo Meo, Francesco Napoli, Lorenzo Pataro, Sara Vergari,
Marco Vitale.
I recensiti sono: Laura
Acerboni, Lorenzo Babini, Pier Luigi Bacchini, Elisa Biagini, Piero Buscioni,
Barbara Carle, Alessandra Corbetta, Maurizio Cucchi, Roberta Dapunt, Mauro De
Maria, Mary de Rachewltz, Massimiliano Luca Delfino, Cinzia Demi, Carlo di
Francescantonio, Alberto De Raco, Paolo Di Stefano, Umberto Fiori, Alessandro
Fo, Erika Formazaric, Alessandro Franci, Giovanna Frene, Andrea Giampietro,
Michele Graziosetto, Maurizio Gregorini, Paolo Lanaro, Giuseppe Lagella,
Manfredi Lanza, Isabella Leardini, Dante Maffia, Roberto Maggiani, Beppe
Mariano, Maurizio Marotta, Vincenzo Mascolo, Francesco Paolo Memmo, Daniele
Mencarelli, Claudia Mencaroni, Marco Pelliccioli, Daniela Pericone, Antonio
Prete, Davide Puccini, Valentino Ronchi, Mauro Sambi, Alberto Schettini, Ida
Travi, Rosella Valdré, Marco Vitale.
Non posso certo
tralasciare di riportare anche gli autori e i titoli dei saggi che ritengo
assai interessanti proprio per quelle peculiarità segnalate in antecedenza.
I saggi sono: “Debut du
siècle in Italia: Aldo Palazzeschi tra liberty, crepuscolarismo e Novecento” di
Francesco Napoli; “Palazzeschi e il futurismo: un rapporto unico” di Federico
Gobbetti; “Le ‘Cannonate’ di Tizzoni-Finzi di fronte al futurismo” di
Elvio Guagnini; “Guardare un’arancia sette volte” di Silvia Vecchini; “Come
(non) fare un’antologia della poesia” di Francesc De Nicola; “Note sulla
punteggiatura nera e bianca nei testi poetici contemporanei” di Elisa Tonani; “L’Orazio
italiano: Giosuè Carducci e l’innovazione metrica del Novecento” di Fabio
Contu; “La trasformazione del testo” di Pier Luigi Ferro; “Il viaggio che
dura di Tommaso Lisi” di Raffaele Pellecchia; “In ricordo di Lorenzo Pataro”
di Giuseppe Grattacaso.
L’annuario termina con l’indicazione
di alcune pubblicazioni di saggistica, di alcune traduzioni, e di alcuni
concorsi.
Ripeto, per finire, l’opportunità
e direi quasi la necessità di libri come “I limoni” perché non se ne sa
mai abbastanza di quello che avviene nel mondo tanto variegato della letteratura
molto spesso legato a correnti, circoli, editori che raccontano solo di se stessi
e non di altri. Io stesso devo confessare che tra gli autori pubblicati posso
dire di conoscerne pochissimi. Ma sento e credo che allargare i propri
orizzonti sia necessario. Alla fine ognuno farà le sue scelte, ma almeno con
conoscenza di causa e senza pregiudizi di sorta.
Enea Biumi
mercoledì 23 luglio 2025
Sofia Fiorini, Il passero bianco, Vallecchi, Firenze
Non bisogna lasciarsi ingannare dalla
fluida leggerezza dei versi che accompagnano la silloge del “Passero bianco”
di Sofia Fiorini. Trovo, infatti, che la giovane poetessa – nata nel 1955 –
esibisce un’energia ostinatamente combattiva fra i meandri della vita e della
morte, tutta tesa a coglierne le infinite sfumature, a indagare e domandarne
spiegazioni.
Partendo da una situazione onirica del
ricordo dell’infanzia (la casa, il giardino, la nonna, il gatto) l’autrice riscopre
il furto colpevole degli inganni, lo sconforto di una trama non nostra ma
imposta, epigono forse di un male più esteso e assoluto che ci è dato da
sopportare. Da qui l’ossessione adiaforica da superare per non rimanere
travolti “perché i morti siano / morti e i vivi siano vivi / ognuno deve
godere del suo sole”. “Aspettavo che mi si seccassero / le ossa – aspettavo di
smettere / di soffrire per il freddo ed il calore”.
Attraverso un’atmosfera magica di un
racconto fiabesco in versi Sofia Fiorini immerge il lettore nell’ossimoro di
una realtà irreale, lo trascina e avvolge in un mondo fantastico costruito su
un duplice piano, lineare e verticale, che sogna e desidera, e vive e immagina,
e narra e sottace.
C’è un passo ne “La nascita della tragedia” di Nietzsche in cui si accenna a Re
Mida che insegue il satiro Sileno interrogandolo su quale sia la cosa più
desiderabile e migliore per l’uomo. La risposta è questa: “non essere mai nato, non essere, non esistere. Ma la seconda cosa
migliore per te è… morire al più presto.” Ecco: in tutto il percorso della raccolta
Il passero bianco rappresenta, da una parte, l’interrogativo di Re Mida
e, dall’altra, la risposta di Sileno. Un ininterrotto ripensare all’esistenza
entro i confini della realtà e del sogno, dove gli incontri si evolvono nella
consapevolezza di una vita tormentata e subìta. “Che sorpresa quel mattino /
umido sul fiume, credersi morta / e scoprirsi capace di dolore”.
Protagoniste, e antagoniste nel medesimo
tempo, di questa favola poetica sono le Genti beate, che appaiono come
fossero delle Erinni (“nel caso che le incontri, un uomo deve fuggire,
altrimenti lo sbranano e lo divorano”) ma che restano perenni
interlocutrici della poetessa. Anzi, in alcuni tratti e momenti specifici
assumono l’ufficio di mentori, come sacerdotesse atte a introdurre la neofita ai
misteri della vita. “E loro, ferme sul sentiero, / a me: «non hai altro
posto, / non hai davvero / altro posto all’infuori di questo»”.
In ogni verso della silloge si respira come un senso
di libertà, un desiderio di emancipazione da ogni struttura soffocante la
propria personalità, una voglia di resilienza ad ogni tipo di costrizione e sottomissione.
Tutto
sembra rimandare ad una illusione che ricorda l’uomo di Schopenhauer irretito
dal velo di Maia, che come in un mare in tempesta siede in una piccioletta
barca fiducioso di non affondare perché si affida al principium
individuationis. In effetti gli spunti che le pagine del libro rivelano
sono un cartiglio classificatore che la scrittrice si sente in dovere di
attuare: tra sogno e realtà scorrono gli istanti di una vita, come fotogrammi e
interrogativi che avanzano ad apta. E si svelano, poco a poco, i segreti,
si coglie, quasi improvvisamente, il sentimento d’amore: “Era lì, come un
grande cervo (…) Mi parlò (…) Mi piaceva la sua voce”. Tuttavia ciò che
resiste, ciò che è più sincero e vero, è ancora il mondo dell’infanzia perché
tutto sembra risolversi solo nella fanciullezza, dove anche la tranquillità
dell’anima si fa esplicitamente sentire. “Si fecero spiegare / cos’erano i
bambini / e la scuola elementare. // Dissi che era il posto / in cui si sentiva
meglio il sole”.
Si può dedurre, allora, che i tanti
fantasmi che l’immaginazione può offrire, hanno il nome di destino. Così
Il passero bianco non rappresenta unicamente la fatalità che dalla vita
conduce alla morte, ma diventa tout court un desiderio di trascendenza,
una studiata e consapevole libertà di scelta. “Questa anche per noi sarà una
festa / – mentre le fate traghettano / i morti all’altro mondo – la festa // in
cui ognuno si riprende le sue ossa.”
I versi di Sofia Fiorini diventano pertanto
anche una ricerca della verità, un discrimine tra illusione e realtà, tra
fantasia e concretezza, ribadendo in maniera icastica che la salvezza – di se
stessi e del mondo – è un’incessabile indagine, un controllo meticoloso del
possibile e dell’impossibile. E tutto ha inizio e fine in una specie di dégorgement che svela cosa possa perdurare nella contrapposizione
vita e morte. Così il
tempo diventa l’enigma più seducente e simbolico. “Silenzio lunare. /
Nessuno mi aspetta. / Tempo della mia segretezza”.
La parola
assume, in questo contesto, un’importanza vitale per la sua autenticità e
inalienabilità. Allo stesso modo, autentico e inalienabile è il mondo dei
bambini in cui il dolore, tutto sommato, viene esorcizzato tramite il sogno che
supera la cavità del tempo e fa riemergere sensazioni tattili e uditive. “Cercavo,
cercavo / il lenzuolo sotto la corteccia / cercavo con le mani la mia faccia,
mi chiedevo lui dove fosse / a quell’ora del sabato, / tra l’uno e l’altro / di
quei timidi tocchi di campana.”
La parola in sé diventa non solo parte della favola ma
pure parte della vita della poetessa. La accompagna. La imprigiona. La distrae.
La umilia. La ridicolizza. L’aiuta. La salva, infine. Nel coacervo di segni, apparentemente indecifrabili,
nella molteplicità dei simboli, la fiaba-poesia svela il suo significato. Le
sensazioni che la Gente beata aveva acceso nel cuore dell’autrice
attraverso la sedimentazione di un costante dialogo, per altro a volte
contrastato e in contrasto, recuperano quell’erlebnis forse scordato,
forse rimosso, ma comunque riferito alla vita vera, sia pure narrato nel corso
di una fiaba. “Ero pronta, ero pronta / non avevo fatto altro / tutto
l’anno, sarebbe stato / come chiudere un cancello”.
È
un poetare adulto, questo di Fiorini, che evoca una sorta di ontosofia che
disvela come il contingente e il quotidiano possano essere ancorati a un
linguaggio onirico e simbolico senza nulla smarrire dell’essenza stessa di un
esistere in funzione dell’hic et nunc.
Enea Biumi
lunedì 21 luglio 2025
Oronzo Liuzzi “Nelle acque di Babel” (Edizioni Milella, 2025)
“di sangue di
fegato amaro si alimenta l’umano/ gelido è il mutamento muto nell’umido
sgocciola/ surrogati di corpi ammainati”; così apre il primo testo poetico dove
il tratto della presenza carnale converge verso il riconoscere la devastazione
dei conflitti, il riverbero che agghiaccia e paralizza i moti nella
deflagrazione di flussi e riflussi, di ostilità evidenti nel tessuto civile, di
consegna a strofe che vogliono allungare il verso in una volontaria e totale
assenza di punteggiatura. L’opera è “Nelle acque di Babel” del poeta e artista
Oronzo Liuzzi. C’è qualcosa che preoccupa nell’insorgere di un sentire intimo
che denuda e, poeticamente, denuncia l’esistenziale deriva ma, nello stesso
tempo, indica una opzione filtrante capace d’intercalare seduzioni possibili
tra risvolti di sentimenti per lo più ibridi. L’efficacia del verso di Liuzzi
accende e svicola, interrompe e accosta, insegue e distanzia nella propulsione
sintattica implicante l’effetto dicibile nel modulo ricomposto in una traccia
linguistica che apre mobilità prossemiche attenuanti il sentore di
determinazione semantica: “parlami del tramonto d’accordo al calar del sole/ a
picco cade nell’acqua di colpo mi rendo conto/ faccio un selfie resto motivato
e la quiete nella/ mia testa dopo la tempesta purtroppo il caos trionfa”.
Turbolenze sì, ma abilmente corrisposte in una dicitura che non concede spazi
al prevedibile, integrando la figurazione stessa del lessico al procedere più
propriamente integro e contemporaneo. Evocazioni ed accenni felliniani
attendono processi di verifica nel confronto con un contesto che non risparmia
noia e malinconia, delusione e lacerazione, dubbio e solitudine ma anche amore:
“il vorrei l’amore d’amare fatale l’amo forse sì”; come condona la pressione
attraverso l’esperienza della iterazione quando identifica il termine capace di
farsi verbo d’inizio: “s’incomincia così incomincio in realtà comincia/ il
tempo dove l’invisibile esiste resiste e persiste”. Il dire di Liuzzi è un dire
che accosta durezza e pietà; è un dire maieutico che estingue i rischi del
cedimento retorico perché si fa riflessivo e mite nella formulazione del verso
condotto alla prossimità dei vocaboli che innestano, in punti alternati del
flusso sillabico, una rielaborazione normativa che spazializza il significante
e acquieta il significato: “senza fretta dentro questa stanza irregolare/ solo
un attimo mi basta forse anche meno”. Ancora si conducono su esperienze redatte
particolari emessi dalle osservazioni abilitate a tempistiche esplicite,
dialoganti e non prive d’incognite; emergenti condizioni quali appartate
attenzioni sfuggenti alla conclamata e “curiosa quiete” che comporta uno stato
favorevole al pensiero ma, nello stesso tempo, filtrante tutto il dolore
violento testimoniato dalla cronaca concitata e segnata da dissidi,
ingiustizie, conflitti. C’è un tentativo continuo, attraverso le pagine, di
bilanciare le insorgenti pulsioni controllate da una mediazione ritmica che
concretizza una sorta di passo prolungato nelle memorie affioranti, quasi possibile
poi un metodo esplicativo che ordina e spiega non eludendo i contrasti: “torna
tutto di colpo il passato/ all’improvviso sul divano brutto bello”, dove la
quotidianità colma quella distanza che sfugge alla regolazione prospettica e
intanto cerca di agganciarsi a sicurezze biografiche, a identificazioni: “il
chi sono insomma m’interrogo a lungo/ sulla identità la mia la nostra io sono/
nato al sud in via bruni di giovedì”. Oronzo Liuzzi si fa esplicito conduttore di
un sentire mobile verso presenze intime che si trasformano in afflati civili
dove il riferimento esplicito “è un mondo alla rovescia il nostro altrove non
so”, ultimo verso della prima poesia che già in sé contiene nelle tre strofe la
migliore concentrazione del dire nei tempi calibrati della dimensione
raffigurante e della capacità fonetica.
Andrea Rompianesi
domenica 20 luglio 2025
Reading internazionale di Poesia ”anima e core”
Inseguirò i tuoi sogni nel sentiero scavato nella neve (del paese lucano….. ) riconoscerò la stessa orma scavata nella spiaggia (di Marina di Ginosa) tra ombrelloni e aquiloni, a raccontare il non mai detto.
Hanno partecipato in orari diversi autori del Perù, Colombia, Cile, Messico, Repubblica Dominicana, Brasile, Uruguay e Stati Uniti.La manifestazione è stata promossa dall’associazione Culturale “Amici della Poesia” di Cosenza e da sade filiale la Plata Argentina.giovedì 10 luglio 2025
Valeria Cartolaro “Disregolazioni” (Transeuropa Edizioni, 2025)
I
detriti incombono. I detriti sono protagonisti della raccolta di poesie
“Disregolazioni”; autrice Valeria Cartolaro. “Io tendo all’ossessione” confida
il verso iniziale della prima poesia e continua poi in altro passo: “e di
fretta, la fretta dilata i detriti/ li gonfia e pregni un pegno da pagare/
diventano la famiglia e gli amici”, attraverso un succedersi irregolare che
compone sonorità efficaci e allitterazioni consonantiche volutamente
incombenti, eterodirette a ulteriori e altri discernimenti. A passaggi che
deragliano verso le polarità impreviste nella conduzione che innesta nel tempo
delle sillabe il ritmo dei passaggi. Nelle disregolazioni il prefisso è
negazione ma anche dispersione delle regolazioni stesse, di quel modo che è
ordinare, sistemare, così come limitare e controllare attraverso il filtro
della combinazione che apre all’osservazione e al percepire l’effettivo slancio
della cognizione capace di raccogliere le singole parti, i frammenti, le
scorie. Voce giovane che esprime esito in costante maturazione tra le pagine
dove “Qualcosa che non so tiene insieme queste mura”, tra dense sponde, una
bruma che accenna o porta verso respiri ma anche strappi, calce, frasche, sogni
e silenzi. L’asimmetria dei versi in molti tratti sembra interrompere ma pure
coniugare la vocalità dei transiti e dilatare varchi verso accostamenti
imprevisti. “Se ascolto/ guardo la pece diventare un pesce giallo/ limare le
sue lische appuntite”; polveri, allora, assumono le sembianze di realtà
disperse o mai compiute dicendole, con una citazione “variabile”, “abitatrici
di mastabe”. Valeria Cartolaro combatte la prossimità per includere regesti di
reazioni alla vicinanza con le cose, così come con la proposta anche dicibile:
“Nudi patiremo la stirpe che verrà/ ci avrà sicuramente la paura del viaggio/
quella sua andatura storta”, oltre avamposti gelati e fibre tossiche, ben al di
là di accensioni solo relative alla portata del rivelare. Sembra l’inizio di
una contesa dove il tempo scardina le progressioni, concentra e accorcia gli
iati, non teme sete e fango, abbandoni prospettici, veleni corrosivi che
attentano all’equilibrio delle stagioni già non più ortodosse. “Volevo stare
nell’acqua che schiva i sassi/ passa tra i grumi di terra/ si trattiene nelle
assi di muffa” scrive l’autrice; una presa d’atto condotta attraverso moti e
sospensioni che disgregano una vicissitudine e, come indica Andrea Ponso nella
postfazione, conducono a immagini frante e a ritmi percepibili.
Andrea Rompianesi
lunedì 7 luglio 2025
Gianfranco Galante, Mister Wakìki Momba, in viaggio verso il domani, Circolo Scriptores, Varese, €. 22,00
Ancora una
volta Gianfranco Galante si rivolge verso una tematica sensibile e attuale:
l’emigrazione. La sua ottica è uno sguardo a tutto tondo che insiste su di una
umanità emarginata, ma niente affatto marginale. Anzi. È proprio questa umanità
che ha bisogno di essere osservata, seguita e coadiuvata.
Tratto da
una storia vera, parzialmente modificata, il romanzo parla di un viaggio
compiuto da due fratelli africani per raggiungere l’eden europeo. I due
protagonisti abitavano in un villaggio della Tanzania. Poco sapevano del mondo
che stava al di là della loro tribù. Avevano però fatto una promessa: dovevano
raggiungere l’agognata Europa, meta presumibile di benessere, ricchezza e
felicità. Ma prima ancora di raggiungere la terra promessa si sono scontrati
con guerre, torture, paure, fame, maltrattamenti e soprattutto dignità
oltraggiata, rispetto ferito e personalità vilipesa.
Dalla
Tanzania passano attraverso lo Zambia, il Congo, la Repubblica Centrafricana, il
Ciad, la Libia per raggiungere, dopo la perigliosa traversata del Mediterraneo,
l’Italia. Il destino dei due fratelli si complica perché vengono divisi:
infatti uno troverà rifugio in Sicilia che diverrà la sua stabile dimora,
mentre l’altro continuerà il viaggio verso il Nord, e lì troverà stabilità. Si
reincontreranno dopo anni e diventerà difficile, sembra un assurdo, pure la
loro comunicazione, visto che uno parla italiano e l’altro il dialetto
siciliano.
L’autore si
cala nei due personaggi, diventa la loro anima, il loro pensiero, subisce il
loro dolore, il loro timore e trasmette al lettore le loro sensazioni e le loro
aspirazioni.
Non sto qui
a svolgere il riassunto delle loro vicissitudini, simili a quelle di tanti
altri migranti verso la speranza. Ciò che tuttavia mi preme sottolineare è
l’attenzione di Galante verso gli ultimi, i vilipesi, gli emarginati. Il loro
dramma è la vergogna di una cosiddetta civiltà evoluta. Evoluta verso il
benessere di pochi. Involuta nella comprensione dei più deboli.
Purtroppo la
storia si ripete. Sembra che non riusciamo ad apprendere nulla dalla storia. O
forse la storia è una maestra inascoltata. Eppure un racconto come questo è
necessario, serve a denunziare simili situazioni disumane. E non bisogna essere
dei santi o dei profeti per capire come la disumanizzazione diventi foriera di
ulteriori ingiustizie e di inevitabili ribellioni.
Wakìky e
Mbele sono il simbolo di una stortura umanitaria, di una società irrazionale ed
egoista, di un mondo che divide e non unisce. Il Nord che ha sfruttato negli
ultimi secoli il cosiddetto terzo mondo, che ha costretto gli abitanti del
terzo mondo ad abbandonare la propria terra e le proprie radici derubate in
continuazione delle proprie risorse, chiude gli occhi davanti ad una
emigrazione che ritiene ingiustamente pericolosa, non accetta il diverso, per
struttura fisica, per religione, per cultura. E Gianfranco Galante con questo
romanzo di una umanità sincera, sensibile e trasparente ci rende coscienti del
disastro umanitario e culturale che il Nord sta commettendo.
Il viaggio
verso il domani è la narrazione di una speranza raggiunta, dietro la quale però
si cela la sconfitta di molti che non riescono a realizzare i propri sogni, ma
anche la sconfitta di quel mondo che si ritiene superiore e che rifiuta il
confronto con chi quei sogni vuole concretare.
Enea Biumi
domenica 6 luglio 2025
Enrico Trebbi “E così sia” (Book Editore, 2025)
C’è una storia che parte sempre da lontano. Assume i caratteri di quelli che sono stati i sogni, le speranze, le utopie del tempo giovane; così come la rivisitazione e l’innegabile aspetto di un sentire struggente verso il divenire inarrestabile o il suo apparire quando lo si ripensa in una età matura. Ancora di più ciò avviene nelle fasi in cui avanza la scrittura, la poesia in particolare. Allora il quotidiano evento deve farsi autentico nella sua forma più nitida, umile, saggia. “E così sia” è il titolo dell’esito poetico di Enrico Trebbi. Da subito la scrittura esprime un verso narrativo che identifica il “tu”, la relazione, l’identità di una compagna preziosa quale vocazione laica a discernere gli appunti che trasformano le discorsive tonalità di canzoniere. L’avvio è già rivelazione di un sentire personale: “Che cosa mi è mancato negli anni/ vissuti dopo averti incontrata?”. Trebbi riconosce, in un verso che tende ad allungarsi nel dicibile, la fortuna rara dell’incontro decisivo, dell’amore rivolto e ottenuto, della concretezza attualizzata dalla dimora che si fa ascolto, ricezione, atto accudiente, cura. C’è nei versi una vocazione che si esprime nell’attenzione agli elementi di natura, sospinta da un tono posato e calibrato su base regolare, quasi un effetto di respirazione che confida: “Vorrei mi si lasciasse qui, sprofondato/ in una delle giornate che amo,/ in questa quiete di preludio,/ in questa sonnolenza/ che destituisce di senso il mondo a me noto”. E’ un riconoscere nel procedere lento, dolori e riflessi, avversioni e aderenze, contrasti minimi, timori contingenti, sofferenze accumulate; il trattenersi emotivo nella prosodia dei versi esprime proprio l’opposto andare interiore verso una direzione che si fa contemporaneamente origine e meta, marcando con intenzione includente i luoghi di sosta. I temi della malattia, del recupero; l’individuare i pochi elementi certi, capaci di donare l’intensità del riscontro, assumono echi di parole donate che in scorci a volte emergono e sembrano indicare una traccia di altre voci autoriali, forse Leopardi, Sereni, Montale. C’è in Trebbi l’urgenza del dire ma in modo disteso, dialogante, sia che ciò riguardi un amore (“Amo la luce che ti segue come un’ombra,/ ti raggiunge e si posa per conforto/ sul dubbio che sta in me, severo, contorto”), sia che si tratti di rendere un diffuso tono lieve e dolente che richiama certe vibrazioni espresse in passato da Stefano Simoncelli (“Ripartiamo presto, per evitare il traffico/ che la domenica, si sa,/ sulla strada verso l’entroterra,/ di ritorno dal socievole mare/ delle coste romagnole o ferraresi,/ è quasi sempre una variabile ostile”), sia l’esperienza struggente di un affido (“E se ti guardo leggo nei tuoi occhi grandi/ il libro della tua ricerca dell’ombra”), sia il porsi di fronte alla complessità dei legami familiari, ad un riferirsi al paterno che ricorda un titolo di Geminello Alvi (“Per tutto questo e altro ancora/ il dio dei figli ti salva e assolve e perdona”). Una malinconia paziente sovrasta l’ordine delle cose che Trebbi impugna con energia residua, abituata a coniugare durezza e pietà, richiamo e comprensione, comunismo e cristianesimo. Poi, forse, la sera si fa tenue, concede l’attimo della sosta mite e acuta attraverso l’osservare, nella precarietà dei tempi, la perturbante fragilità di quei pochi ma significativi squarci nei quali il passo prolungato e costante delle sillabe diventa la prosecuzione di una sensibilità ostinata, come nel poemetto “Canti della terra”: “Tu accendi una luna di cristallo/ nel buio dei cieli che non abbiamo visto,/ mi metti una mano sugli occhi e sussurri/ che anche domani mi porterai a passeggio”, e poi la natura con i suoi elementi più nascosti,le spazialità dei luoghi che hanno animato l’esuberanza dei viaggi, le paure e ancora gli amori...”Ed erano vetri rigati di pioggia, i vetri/ fioriti di gelo, erano primavere gentili”; infine la nitida caduta inesorabile delle utopie, il non volere una verità che inesorabilmente lo diventa; come reperire i tratti oscurati della mappa quando il terreno è già mutato, rincorrere i fantasmi di una storia che ha imposto le sue leggi, eppure... è ancora l’autore stesso a rinnovare una combattuta intenzione che gli fa dire: “Non si è in pace con sé quando si tace”. Il libro si conclude con una “intervista immaginaria” del sé lettore al sé stesso poeta.
Andrea Rompianesi
mercoledì 2 luglio 2025
AI CUGINI CASCINI CONSEGNATO ATTESTATO DI PLAUSO “ARS POETICA” al XVII° CONCORSO LETTERARIO “COSENZA-CITTÀ FEDERICIANA”
A Cosenza si è svolta la cerimonia di premiazione del XVII° CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE “COSENZA CITTÀ FEDERICIANA” promosso dalla Associazione Culturale “CLUB DELLA POESIA”.
Alberto Mori “Luce solida” (Fara Editore, 2025)
Un “solido morbido”, una sinestesia fluttuante già si realizza nella bella immagine di copertina, anch’essa opera dell’autore, del libro “Luce solida”. E il poeta performer ed artista è Alberto Mori che ci offre una prova ulteriore del suo percorso di attento osservatore dei particolari nella loro “oggettualità”. Qui si erge nella sua disciplina di dato il rimando a cui tendere da ciò che appare, dalle forme che abitano e scolpiscono i tratti della materia, attraverso un ricorso peculiare che incide nella trasformazione del segno o, meglio, alla sua rivisitazione: “La cesura finisce/ Energia come misura/ Flusso fra sponde accese”. Eco d’origine nella percezione di accorpamenti e velature significanti da filtrare attraverso una pratica che, nella prima parte del libro, adotta componimenti brevi di tre o quattro versi dove gli stessi si essenzializzano in una concentrazione estrema di sfumature solo accennate: “Nulla del giorno/ Vastità indetta/ Semi delle ore”. Cammini non necessariamente in sintonia con un contesto complesso e imprevedibile che caratterizza la nostra attualità e costringe ad una auspicabile presa d’atto che non sia solo cedimento a derive o approdi provvisori e afoni. Lo sguardo di Mori tende a percussioni riprodotte a ibridazioni tempistiche, così “Ombre defilate in fasce oscure/ Confini dissolti in limini chiari”. La seconda parte di “Luce solida” avvia un esito graficamente debitore all’architettura visuale di certo futurismo, non escludendo tensioni neodadaiste, così come contusioni nella tracciata interiezione possibile, colma di cenni alla tracciabilità di uno spartito fonetico. Difformità di caratteri e tratti d’interpunzione abitano la pagina nella dislocazione sillabica di fortissimo impatto visivo. Schema a supporto di tessuto sia vocalico che consonantico nelle modalità che intersecano mappature oltre accenni di schema direzionale irregolare, nei trattini e in direzioni verticali, orizzontali, diagonali. Poi Alberto Mori ritorna all’essenzialità del vocabolo e della interiezione reiterata e riprodotta in tonalità linguistica simbolicamente acuita dalla “lettera segnale”: “E Tempo/ Poco A Poco Tenta/ Trasale/ Risveglia”. Ma ancora non tutto è detto quando l’autore prosegue il percorso in modo inaspettato e sorprendente ponendo a chiusura una sezione in cui le poesie sviluppano una lunghezza in versificazione verticale, focalizzata su esito descrittivo intonato ai cromatismi urbani e temporalmente distribuiti nel susseguirsi delle fasi diurne e notturne; “Nessuna ombra rimane/ Dilegua apparenza degli oggetti/ Sogni della polvere assente/ Rumori vuoti d’attesa”. In questa sezione conclusiva ogni testo inizia con lo stesso verso, esprimendo un intento anaforico e confermando poi una nota sinestetica portata a caratterizzare l’opera: “La notte buia vede”.
mercoledì 25 giugno 2025
Andrea Rompianesi, Letteralmente, Amos Edizioni, 2025
(estratto dalla prefazione di Enea Biumi)
La
passione e lo studio della letteratura contemporanea (quella per intenderci che
va dal secondo novecento fino ad oggi) hanno indotto Andrea Rompianesi ad un
costante rapporto/confronto con quanto veniva pubblicato dal 2010 in poi, in
un’ottica di critica d’autore, molto vicina a quella militante.
Ciò che lo ha mosso è stato il desiderio di un assoluto approfondimento secondo
una sua idea di poetica, di certo non solo soggettiva, ma ponderata in contesti
più ampi, e generata da anni di perdurato interesse nonché predilezione di
quello che per lui era – ed è – sostanziale al fenomeno “scrittura”.
Riuniti
in quel “peculiare genere metaletterario che è un’Antologia”
(l’osservazione appartiene a Pier Vincenzo Mengaldo) questi
percorsi di scrittura sono un esempio del lavoro sul campo portato avanti da
Rompianesi nella certezza di contribuire a far udire la voce degli scrittori
esaminati e registrati, anche perché validamente inseriti in un contesto
culturale ampio seppure a ridosso del grande pubblico, e quasi underground
o borderline, vista l’oggettiva presenza di testi che coinvolgono sia
sigle di nicchia che commerciali.
Sono centodue i percorsi che qui vengono presi in esame con quella visione, come esponevo, sempre attenta alla congiunzione tra significato e significante. Ogni opera ed ogni autore, infatti, vengono colti e guardati attraverso la lente di un’attenta valutazione alla ricerca di un quid capace di generare ed evidenziare individualità precise emergenti. Il suo esame, inoltre, non vuole e non deve essere solo di superficie, e quindi benevolo, bensì severo indagatore. La disanima di cui si avvale comprende le regole della retorica che offre al lettore l’intelligenza di ciò che sta scritto in un contesto di vera e propria critica letteraria, lontana però dal vuoto di una generica apologia del testo.
I
percorsi di scrittura di Rompianesi sono per evidenziare e non per elogiare,
alieni da quella specie di captatio benevolentiae che spesso conduce un
critico obnubilando la verità del contenuto e della forma. Ne scaturisce quindi
una professionalità plasmata da un continuo studio e da una appartenenza seria
e coerente al mondo della scrittura. Non per nulla la casa editrice da lui
fondata ha la dicitura di “Scrittura creativa” e la promessa di
pubblicare solo opere di qualità: massimo tre in un anno.
Per rimanere nel simbolo del percorso è evidente che ogni cammino o sentiero contiene di per sé diversi indirizzi e fermate: ecco allora che l’itinerario, che viene proposto, allarga i suoi orizzonti, si distende ed estende ad altre rielaborazioni. Non esiste, ci fa sapere Rompianesi, solo la letteratura in lingua. Da Pasolini ad altri autorevoli critici, come il già citato Pier Vincenzo Mengaldo, abbiamo ormai imparato che la letteratura italiana è costituita anche da autori dialettali. Perciò il suo interesse, autorevolmente supportato, si posa anche su poeti come Nina Nasilli, Ferruccio Giuliani, Emilio Rentocchini.
Chiaramente
mi è impossibile citare tutte le opere da lui analizzate. La buona volontà e
soprattutto la curiosità condurranno il singolo lettore nella giusta
comprensione, sebbene gli esempi che potrei fare siano molteplici e tutti
indicativi del buon lavoro svolto.
Nel
cammino intrapreso, dunque, si evidenziano alla fine mete e risultati. La meta
è stata raggiunta con quell’accostarsi quasi in punta di piedi ai lettori,
suggerendo loro, nello spirito della maieutica socratica, alcuni accostamenti,
alcuni passaggi, alcuni indirizzi. I risultati sono quelli espressi in forma
più o meno esplicita in un florilegio indicativo e appagante del suo lavoro.
Il
compito adesso sta al lettore. Gli spunti ci sono. Basta riconoscerli e farne
buon uso per una comprensione migliore di quegli autori antologizzati e per una
consapevolezza maggiore di quello che la letteratura sa donarci.
mercoledì 28 maggio 2025
SEI AUTORI RACCONTANO IN TV LA LUCANIA ATTRAVERSO I PROPRI LIBRI
ore 17:30
MEDinLUCANIA TV
Social Media MED
Nunzio Festa (Pomarico)
Bruno Di Pietro (Montemurro)
Vincenzo Corraro (Viggianello)
Filippo Gazzaneo (Senise)
Prospero Cascini
(Castelsaraceno)
Conduce Leo Pisani
Introduce Dino
Nicolia
Regia Michelangelo
Tarasco
Il 29 Maggio alle ore 17,30 in TV (medinlucana tv) 6 autori lucani parleranno della LUCANIA attraverso le proprie pubblicazioni in un incontro condotto dal giornalista Leo Pisani. Ne parleranno G.Blasi, già parlamentare della Repubblica, appassionato di Poesia: si ispira ad un filone letterario nato negli Stati Uniti nei primi del 900 “IMAGISMO”. E’ il piu’ intraprendente divulgatore culturale della nostra Regione.
N. Festa : è nato a Matera, ha
vissuto a Pomarico, in Lunigiana e ora vive in Romagna. Giornalista, poeta e
scrittore collabora con
Liguriaday, Corriere Romagna ed altri
spazi cartacei e telematici .
B. Di PIETRO( vive e lavora a Napoli esercitando la professione forense ) ha pubblicato alcune raccolte poetiche, suoi interventi di critica sono apparsi su Nazione Indiana. E’ presente in numerose antologie. Fondatore con Gabriele Frasca e Mariano Baino della casa editrice ”d’IF”. Vincenzo Curraro vive sui monti del Pollino, docente di lettere, ha esordito nella narrativa nel 2005 con il romanzo “Sahara Consilina”, poi la raccolta di racconti ”dimmi che centra la felicità”, poi la raccolta di poesia ”l’età del bosco”: Scrive testi per spettacoli per bambini per il Millenium Enseble, gruppo di fiati romani.
Filippo Gazzaneo , vive a Senise e insegna storia e filosofia , narratore e poeta: traspare nella sua attività artistica il suo antico AMORE per l’ideazione, la scrittura e regia di spettacoli teatrali, scrittura di testi di analisi ,critica letteraria, filosofica e storica.
P. Cascini, già dirigente scolastico, già consulente psicologo presso le case circondariali di Potenza e Lagonegro, nel 2016 ,dopo sessant’anni dalla sua primina (1956),si è pensionato e si è dedicato alla Poesia come amore per la sua terra e la sua Regione e i suoi affetti. Nel 2024 la sua silloge” IL GIROTONDO.. tra primina e buona scuola nella Lucania” ha vinto il primo premio al concorso nazionale di Poesia “ versi nel borgo”. E nel 2025 L’opera “L’unicita’ della Lucania: un approccio fotografico e poetico” è stata premiata nel concorso letterario internazionale COSENZA.. CITTA’ FEDERICIANA.
L’incontro sarà introdotto da Dino Nicolia, Funzionario della commissione Europea dal1988,dove si è occupato di Politica Industriale, Politica Ambientale
e ora di PAC (Politica Agricola Comune)e segue i programmi di sviluppo rurale
delle piu’ importanti Regioni Meridionali . Ha pubblicato un importante testo
sulla strategia euro mediterranea e le politiche di sviluppo per il mezzogiorno
con prefazione dell’ex presidente ONU l’egiziano Boutros Ghali E’ Presidente dell’associazione MEDinLUCANIA una
associazione che riabilita l’impegno
civile al servizio del bene COMUNE.
La Regia sarà curata da Michelangelo Tarasco!
venerdì 16 maggio 2025
Antonio Rossi “Quandoltre” (Book Editore, 2025)
Andrea Rompianesi
Tre lucani tra i premiati al Diciassettesimo concorso letterario “Cosenza città federiciana”
L’associazione socio-culturale “club della Poesia”di Cosenza che, da sempre, organizza il Concorso ha diffuso una nota stampa nella quale comunica i premiati del concorso Letterario internazionale.
Nella sezione poesia libri editi, sottosezione “plausi ars poetica” è inserita la silloge “L’unicità Della Lucania: un approccio fotografico e poetico” di Prospero e Valerio Cascini, Monetti editore, presentata l’anno scorso al salone del libro di Torino e che sara presentata nel comune di Grugliasco (To) sabato prossimo 17 maggio, unitamente all’inaugurazione della mostra “Terre lucane” del pittore Gianni Bergamini che ha già tradotto in dipinti tante poesie della silloge. Lo stesso comunicato informa che nella sezione narrativa edita, sottosezione menzioni d’onore è inserito il testo “Altomonte e dintorni” di Nuccio Provenzano, Pellegrini Editore.Le commissioni giudicatrici sono state così composte: sez. poesia, presidente prof.ssa Concetta Natoli (poetessa, scrittrice) presidente onorario dott. Vincenzo Galluzzi (dirigente medico e Poeta) e i membri giurati Elvira Dodaro, Valentina Iusi, Gioconda Oliano, Teresa Esposito, Antonio Marullo, Giuseppe Piluso e Pierpaolo Rodighiero. Tutti poeti o esperti della materia.La commissione Sezione narrativa è stata presieduta dal prof. Rolando Perri (dirigente scolastico, saggista, recensore etterario). Gli altri giurati sono stati Tommaso Orsimarsi, Antonella Daffinoti, Erminia Madeo e Maria de Fazio. Tutti esperti della materia. I tre premiati sono originari della zona sud della Basilicata (i cugini Cascini di Castelsaraceno) e Nuccio Provenzano di (San Severino Lucano).Valerio Cascini vive dal 1963 a
Torino, ma frequenta Castelsaraceno da sempre e scrive le sue poesie in
vernacolo castellano-lucano. Nuccio e Prospero sono stati tanti anni insieme a Lagonegro:
loro città studi. Nuccio, da tempo ormai, vive ad Altomonte e come un buon
lucano ama il paese in cui vive.
La poesia di P. Cascini "A Micaela Maria nata in piena pandemia" la menzione d’onore al concorso internazionale di poesia creativa "una stanza tutta per sé"
Al poeta lucano Prospero Cascini con la sua poesia “A Micaela Maria nata in piena Pandemia” è stata assegnata la Menzione D’onore al Concor...

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Parla di voci la citazione da Paul Celan che caratterizza l’esito poetico di Laura Caccia, “Le voci insorte”. Qui siamo posti di fronte, inn...