C'è una consistenza nitida nelle parole esatte; quelle
che comportano l'esegesi di una traccia ma anche l'elemento caratteristico del
procedere poetico. La ricerca di quella parola che non può essere altra, poiché
l'equilibrio unico significante/significato si determina nel suo essere, nel
suo sapersi e dirsi. Al contrario di ciò che viene espresso da molto parlare
generico e da qualche critico gravato da carichi ideologici, sussiste un abisso
di distanza tra canzone e poesia. Due forme espressive totalmente diverse,
almeno nell'ottica di definizione tangibile, e in senso moderno, della
letteratura italiana. La canzone trova una modulazione affidata principalmente
all'effetto musicale proprio di un ascolto che si fa intrattenimento magari
piacevole ma spesso banale. La poesia è ricerca nel linguaggio di una scrittura
che abita lo spazio della pagina ed è unico contenitore di significato. Il
coinvolgimento quindi diviene propriamente concettuale ed esprime una vera e
propria esegesi che per sua stessa natura si fa ermeneutica. Tali
considerazioni appaiono evidenti ogni volta che ci si confronti con un
autentico e riuscito esito poetico. Come bene emerge dai versi dell'opera di
Nicola Romano "Tra un niente e una menzogna", dove l'attesa porta al
confronto con l'esattezza di quelle parole che sanno porsi nella grazia della
epifania linguistica. Accorre una semantica sostanziale nella quale l'evento
versificato è traccia sistematica di una reiterata attenzione alle
determinazioni quotidiane: "Con un sentore d'assurdo/ risalgono canali a
quel principio/ che fa nascere il corso d'ogni storia". Romano trafigge
quel niente che se veramente fosse, sarebbe quindi qualcosa e quella menzogna
che, come dice Calvino nella citazione, 'i non è nei discorsi, è
nelle cose". La poesia mette a nudo il dato e naviga verso l'acquisizione
di verità; si fa dunque filosofica, non sempre nella sua esecuzione formale ma
nella intenzione ulteriore. E' un riverbero dibattuto di sensi e di ciglia, di
risacche e ricordi, di profili smarriti e immagini che catturano ciò che fa
diga a protezione del nostro resistere. Il senso della perdita è
particolarmente accentuato nelle sonorità dei versi del poeta siciliano come
interpretazione filtrata dai rapporti con le manifestazioni di natura. Si respira,
per dirla con Pareyson, una "ontologia della libertà" che distanzia
l'esistenzialismo personalistico e dove tutto muove verso un acquisito senso
della determinazione. "Ristagna/ ai confini dell'ora/ un dubbio d'eclissi
perduta/ La sera ne sfoglia il disguido/ e indaga occasioni di cielo"; la
tenuta ritmica accompagna l'evidente concentrazione sillabica incalzata dallo
iato esplicito che pone la pausa meditativa e la proietta verso la ricezione
dei sensi. Certo il sottofondo concede molto spazio ad un tono dolente che
considera l'allontanarsi delle cose nel procedere del tempo, in un
irrimediabile avvenuto: "ma eravamo quel che siamo stati",
consapevoli di ciò che abbiamo mancato o perduto. "Mi tiene vivo/ la
magnificenza unica del mare" ...sembra riecheggiare l'atavico rapporto con
l'elemento che tanto ha animato la poesia di un autore come Giuseppe Conte, ma
qui non in una formula legata al mito bensì all'approccio più umile dei
"residui di comune penitenza". Nicola Romano accompagna il lettore
con passo ponderato, lento, coinvolto in un sussurro lieve e antico, "con
quella flemma/ propria dei tramonti"
Andrea Rompianesi