Gli “appunti di passaggio”, come li
definisce l’autore nel sottotitolo alla raccolta, si riferiscono alla città di
Milano. Una città spesso in contraddizione con se stessa, una città che mette
alla prova chi la incontra, una città che affascina e che spaventa, ma che alla
fine ci coinvolge e ci avvolge. A ben vedere il poeta Carlo Ricci Bertarelli si
inoltra fra le mura e le vie della città cercando di scoprirne i segreti, di
carpire il suo evolversi, di capirne gli umori e le frequentazioni. “Trasformazioni” è
una silloge di profondo desiderio e d’amore per Milano, vista e visitata con
consapevolezza e ottiche sempre diverse, come disparate sono le occasioni di
incontro. L’autore, esplicitamente, non sostiene d’amare la città. Ma i suoi
percorsi, i suoi “fotogrammi” non sono altro che la traduzione
della magia e del fascino che Milano offre. Carlo Ricci Bertarelli è uno dei
tanti non milanesi d’origine che diventano nel tempo milanesi de facto.
Lo testimoniano queste liriche che sono il prodotto di un vissuto interiore in
intimo contatto con la città. “Sono solo / appunti di passaggio” afferma
nella prima poesia che introduce la silloge. Tuttavia, mano a mano che il
lettore prosegue, si rende conto che gli appunti diventano momenti essenziali
per una comunione d’affetti che anelano all’essenza stessa della città. “Mi
passa accanto la città / traccia confini d’inverno e cemento / nei profili
scossi dei mattoni / terre di fraintendimenti // di crepe marmoree // ma i
confini sono traiettorie distratte / di grafici / estratte dal sedimento”.
Ecco che Milano si insinua nei pensieri del poeta attraverso le sue case, le
sue vie, i suoi inganni prospettici e quasi surreali, che diventano
interlocutori, comunque, di un tragitto, di uno scorrere, di un
πάντα ῥεῖ esistenziale. E allora il suo viaggio si fa più reale e dichiarato: “L’ululato del treno / scuote i sotterranei”, “Dal tunnel della metropolitana / le scale eruttano passi”. Così la mimesi diventa un contributo alla comprensione, coniugando aspetti occasionali, come un incidente d’auto, a visioni dal sapore strettamente realistici come: “Nell’attesa / il sole ormai è sorto/ la città è già in fiamme”, “È mattino presto / l’asfalto d’agosto già ribolle.”, “Nel giorno che s’attarda a fioca luce”, “Mi sorprende la sera / in uno slargo tra le case nell’ora / che ti ho rivisto camminare tra le aiuole”. La visione esterna, reale, della città viene introiettata nella coscienza dell’autore tanto che non vi è più differenza tra una fotografia e una riflessione, tra quello che appare e quello che invece è il sentimento del poeta. “Così mentre cammini alzi il naso, comunque / rimani risucchiato da quelle altezze / e stai lì stupito a guardare la trasformazione / ognuna come un’ombra che sorge o un racconto / e subito rientri, invischiato / senza parlare. – Guardali: sono gli Dei – Pensi.”. Nasce così quasi un prodigio: Milano che affascina e strega il poeta, che non gli permette di distaccarsene, che lo trattiene e lo culla. “A Milano, a passeggiare in centro / è come passeggiare in salotto: / un salotto ben arredato, curato. / Nelle vie eleganti del centro / sembra di non uscire di casa / passi di strada in strada / come di stanza in stanza;”. Nonostante ciò, l’autore è costretto a staccarsene. Forse per questo è indotto a sottolineare, attraverso una rievocazione in versi, il suo rapporto con la città, a cantarne elogi e difetti, ad offrire al lettore un diario particolarmente emotivo. Alla fine, una confessione traduce in sintesi il suo stato d’animo: “Se non fossi / dei miei boschi / delle nebbie novembrine // di questo cielo incastonato / tra grovigli di colline // d’etrusche radure / di terre brune // abiterei te / sarei delle tue brine :/ sinceramente // mia cara Milano”.
Enea Biumi
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