Già
in “Versi civili”, silloge pubblicata
nel 2003, Andrea Rompianesi aveva privilegiato il rapporto poeta-società. Si
estrinsecava allora quella particolare tensione-attenzione nei confronti di un
mondo che appariva perennemente in lotta tra l’essere e l’apparire: una realtà
che viaggiava in una superficiale ipocrisia e che non voleva vedere, forse
perché disturbata, o peggio ancora distratta, la schizofrenia plateale di
facili egoismi o edonismi che giocavano partite fine a se stesse. Il poeta
richiamava alla nostra memoria fatti e circostanze, uomini e azioni che in una
specie di bolgia dantesca ruotavano accavallandosi in metaforiche carole,
cercando di insufflare in loro una minima coscienza di giustizia, di
onorabilità, di credibilità. Erano quei versi come un’alapa militare che
intendeva risvegliare chi al sonno o alla cecità era ancora votato. In “Quote di non proletariato” Andrea
Rompaniesi sembra voler ricollegarsi, almeno nel titolo ed in alcuni spazi, a
quella sua iniziale raccolta, in una dimensione però che, depauperata del clima
di mera denuncia, va oltre il cosiddetto profilo politico per raggiungere ab imis il carattere metafisico della
rappresentazione, che, a sua volta, e con sottolineature sorprendenti, si
ramifica in impressioni fonetiche tipizzanti la poesia. A conferma di ciò
stanno quei versi che richiamano (en
passant e quasi per caso, volutamente mimetizzati) gli “Strumenti umani” di Sereni e “La ragazza Carla” di Pagliarani(1):
due momenti topici di una poesia “civile”
che trascende la storia e si fa simbolo di coscienza ed esistenza. Non c’è chi
non vede la particolare attinenza a quei due lavori poetici: l’uno
(Sereni) che nella silloge citata dilata
il verso fin quasi a raggiungere una
connotazione prosastica, che coinvolge un non-poetico quotidiano, cui si
ricollegheranno successivi poeti come Raboni, Rossi, Majorino, Cesarano;
l’altro (Pagliarani) decisamente e volutamente coinvolto nell’avanguardia del Gruppo 63, che trasferisce in Carla
Dondi le aspettative di un futuro benessere consegnato alle insegne del lavoro
(all’ombra del Duomo) quale laico e
moderno pantocratore. Ed è vero, anche, che nella pagina seguente, come fosse
una nota, tramite asterisco vengono citati altri due poeti: Olivieri, un ideale
continuatore di Sereni, e Fortini, che riscopre esplicitamente un linguaggio
poetico “politico” nella sua
accezione brechtiana. La citazione iniziale di Pierre-Joseph Proudhon(2) dà l’abbrivio alla raccolta poetica che
si dipana come voce di coscienza per una vita che si distende nel giorno, che
arranca nella notte, che lotta per il divenire, che si frantuma in quesiti e si
sovrappone a certezze.(3) Il significato sigilla il significante, la
materialità si fa rada, quasi surreale, diventa
suono e la fonicità così ottenuta offre spunti di immaginazione ed intuizione
che collimano alternandosi in momenti di tangibilità e di astrazione.
Rompianesi non è nuovo ad una architettura linguistica siffatta. Ma in questa
sua ultima fatica il verso sembra raccogliersi attorno alla possibilità di riflettersi
nel tempo, di imporsi nell’oggi e nel domani, al di là dei contratti, delle manovre
economiche, nel “diritto-dovere
di/rinviare la morte”, perché “il
tempo per pensare/accumula le attese conduce/al lavoro intellettuale”. Il che ontologicamente si traduce nell’esistenza
quotidiana della poesia.
Enea
Biumi
………………….
(1)(mi sono immerso negli strumenti umani/poesie
ed errori di ragazze carle)
(2) La
proprietà è il furto; la proprietà è la libertà
(3) (…)
tre cose soltanto pane/ acqua casa te le darà il sistema
Andrea
Rompianesi, Quote di non proletariato, Scrittura Creativa Edizioni,
Borgomanero, 2017, € 14,00
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