La Book Editore di Massimo Scrignòli da molto tempo ci ha
abituato alla proposta di numerose eccellenze editoriali nell’ambito della
poesia e della prosa contemporanee. In questo caso l’attenzione è rivolta ad un
autore dell’antichità: Aurelio Prudenzio Clemente, importante poeta latino
cristiano, nato in Spagna, nel 348. L’opera, “Dittochaeon” (Doppio Nutrimento),
è in quartine di esametri e affronta temi dell’Antico e del Nuovo Testamento. I
testi sono poi tradotti, in una formula interpretativa che non si esita a
definire geniale, da Nina Nasilli, poetessa di spessore a sua volta e artista
che, in questa sede, pone a fronte di ogni componimento, in origine già nato
con l’intenzione di commentare immagini dipinte o musive, suoi disegni per una
esegesi evocativa. Ma, al di là di una specifica valutazione filologica
all’origine dell’audace compito che bene sottolinea l’afflusso di suggestioni
del periodo classico virgiliano, oraziano, ovidiano (senza dimenticare Lucrezio
e Seneca), nel dettato stilistico di Prudenzio, quello che stupisce,
considerando l’estrema difficoltà di rendere compatibili sistemi metrici
profondamente diversi, è il risultato della versione italiana che Nasilli
concentra in un privilegio raffinato concesso ad assonanze, consonanze ed
allitterazioni con un criterio di apertura affidato all’endecasillabo. Non
essendo però esso sufficiente ad esaurire l’esametro, viene allora chiuso da un
semi-verso, quasi sempre un settenario o novenario, raramente un quinario o un
metro più corto. Tale resa permette una lettura ondulata, sapientemente
evocativa e suadente nella sonorità percepibile. Per certi aspetti, e qui si
pone il problema cardine sulla traducibilità poetica, è come assistere alla
genesi di altri testi contemporanei in lingua italiana, scaturiti dalla
versione originale latina quale fonte semantica. Il respiro sintattico, precisa
Nasilli, vuole offrire un sapore classicheggiante. Personalmente ritengo che lo
sforzo della traduzione o meglio, in questo caso, della felice riscrittura
abbia oltrepassato lo schematismo rischioso di una partitura fossilizzata alla
fedeltà filologica in una trasposizione temporale così marcata, approdando ad
una formula in lingua italiana dalla struttura preziosa e raffinata, di tale
corposità ritmica da rappresentare una nuova autenticità interpretativa tipica,
nel valore musicale, del vero virtuoso. “Foedera coniugii celebrabant auspice
coetu/ forte Galilei; iam derant vina ministris”: “Eran nozze che stavan
celebrando/ con folla d’invitati in festa/ un giorno i Galilei; ed ormai il
vino/ veniva a mancare ai coppieri”. Ondoso davvero il moto dei versi disegna e
raffigura gli episodi biblici, in calibratura anche visiva affinché la poesia
abiti la pagina. L’affascinante seduzione
del testo incontra efficacemente la profondità dei contenuti espressi
dalla Sacra Scrittura, in una sintesi esegetica e appunto icastica che tocca un
tono sapienziale e concilia potentemente l’ermeneutica dei dettagli con
l’afflato della preghiera.
Andrea Rompianesi
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