“Bellezza, bellezza, bellezza! / unico vero linguaggio
che vale” sono i versi che posti al centro della silloge fanno da trade-union
a ciò che è materico e a ciò che è spirito. La materialità è costituita dalle
stagioni, dal tempo che inesorabile trascorre senza tregua abbandonandoci
nell’ingenuità di una rincorsa spesso vana, la spiritualità si conforma a un
dettato interiore, in un iter del tutto soggettivo e per ciò stesso
deliberatamente sincero e perturbante. “Ciò che non vissi, lo sognerò. / E
nei sogni mi troverò libero. / Vivo nel desiderare / sincero nel godere ciò che
mi appaga di più.” Mugnai riflette
con sgomento che l’esperienza umana può mostrarsi futile e ingannevole. Per
questo si rifugia emblematicamente nel sogno senza scordare però che
l’illusorietà del tempo e la vanità delle cose terrene hanno un loro fascino e
una loro giustificazione. Anche quando tutto sembra condurre alla morte esiste
sempre un aggancio alla vita, una continuità destinata a sconfiggere la
materia. Si tratta dell’arte. L’arte riesce a superare le barriere dell’umano,
a volte tende a sopperire le debolezze, le inquietudini, le avversità, a volte
ci indica l’altrove. L’arte dà il senso alla vita e alla morte, è il soffio
vitale, è lo pneuma che ci penetra e ci svela il mistero delle cose. “Arte,
arte che avvicina a Dio / traccia di Dio / strada che conduce al divino, /
antica grazia di Dio / ha illuminato lavoranti e artisti (…)”. La fortuna
di essere nato a Pieve santo Stefano in provincia di Arezzo, sulla strada che
conduce al Santuario francescano della Verna, nonché di aver frequentato per
motivi di studio e lavorativi Firenze, pone Duccio Mugnai in una situazione di
privilegio rispetto ad altri, sia per la possibilità di una frequentazione
artistica costante di quei luoghi, sia per una vicinanza profonda allo spirito
religioso. Ma il privilegio, si sa, diviene sterile se non lo si coltiva
adeguatamente. E il poeta non rinuncia infatti ad aumentare le proprie
conoscenze, a sfruttare quello che vede attorno a sé, a indagare una realtà per
crescere e migliorare. Non nascerebbero altrimenti i suoi versi tutti
incentrati sul connubio uomo-Dio, sulla meditazione e introspezione di sé e del
mondo circostante. “Realismo onirico felliniano / sogno o incubo desueto nel
mordere il cuore / come Cabiria e la sua lacrima di Pierrot / i vitelloni sul
mare di Rimini / come foglie morte che il vento vuol portarsi via”. La
percezione che si ha nella lettura di questi versi è quella di un autore che
non si abbandona a semplici sentimentalismi. Non c’è una sovrastruttura non
inerente alle parole che si leggono, non c’è sovrabbondanza di aggettivazione,
ma una misurata e sostenuta capacità di trasmissione empatica col lettore. Nella
lirica “Maestrale”, ad esempio, Mugnai ci racconta la sua “ossessione”
e cioè il desiderio costante e continuo di introspezione, del mondo e di sé. “Spesso
mi son sentito stravolto, / portato via, consumato, spostato / attraverso
furente e indomabile cambiamento”. In
questa meditazione soggettiva non può certo mancare l’incontro con l’altro,
meglio: con l’altra. L’amore nasce quasi per caso ma è tuttavia utile per
riconoscersi, per trovare se stesso. “Mi sei piombata addosso / come gioia
consueta, / la tua immagine / ossimoro equilibrio / il piacere e il tormento.” Allo stesso modo, le citazioni di Van Gogh,
Goya, Botticelli, Beethoven non sono superficiali orpelli bensì parte
integrante di una weltanschauung che ha come pilastri Dio e la Natura.
Infatti “dirompente impulso in spirito / permea la sacralità dei poeti che
‘vedono’ / anticipano i tempi / (…) Mi tuffo inconsapevole, / ad occhi chiusi,
/ nel gorgo sublime e sconosciuto.” “Zefiro
/ le tue morbide guance / carezza carnale / alla mia sensualità”. Alla fine
quell’ossessione che perennemente accompagna la vita del poeta diventa libertà:
libertà di canto, libertà d’amore, libertà da ciò che è materico e mortale.
Tutto diventa trasparente bellezza, spirituale sensibilità, parola di verità, “mentre
il Signore passa coglie e rigenera”.
Enea Biumi
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