mercoledì 17 dicembre 2025

Gianfranco Gavianu, Icone di un viaggio, Dantebus Edizioni, Roma, 2025


 Opera poetica stratificata, densa e meditativa

 recensione a cura di Vincenzo Capodiferro

«“Icone di un viaggio” di Gianfranco Gavianu è un’opera poetica stratificata, densa, meditativa, frutto di una lunga esperienza esistenziale, intellettuale, spirituale. Ogni poesia una tappa, ogni sezione una stagione della coscienza, ogni verso un’indagine sulla memoria, sul tempo, sull’identità e sull’illusione del significato. È un viaggio psichico ed educativo che attraversa infanzia e maturità, ideologie vissute e disattese, amori e apparizioni, dolore e tenerezza …» scrive Massimo Gherardini nella prefazione.

Il poeta nelle “archeologie psichiche” descrive “antitesi annichilenti”. Archeologia ci fa pensare a Freud, che paragonava il lavoro dell’analista a quello dell’archeologo. L’archeologia psichica rimanda a Jung, agli archetipi dell’es ancestrale, unico. Antitesti ci fa pensare a post-hegeliane sintesi irrisolte: non tutte le storielle della vita finiscono in “E vissero felici e contenti”.

 E tu, felice felce, nel tempo inane e vuoto

deridendomi sicura ti radichi, t’avviticchi, gioisci

e poi sprofondi in torbidi sogni d’amore-umore.

 Il tempo è una pagine vuota, la storia è un foglio bianco che noi riempiamo con le nostre guerre, come diceva Hegel. La felicità umana come una verghiana nave “Provvidenza” sprofonda nel mare dei sogni d’amore, ove “il naufragar m’è dolce”. La poesia di Gavianu si dimena tra meta-poietico e pseudo-sonetti.

 Fummo e siamo fissità in moti illusori

o momenti gioiosi che anelano al più luce.

 Siamo eleatici frammenti di quell’essere che s’asconde e che anela perennemente ad uscire alla luce del giorno:

 E quindi uscimmo a riveder le stelle.

 La poesie di Gavianu riecheggia una forte eco esistenziale ed esistenzialista che rimbomba nelle casse armoniche celebrali con richiami dissonanti d’ogni tipo: letterari, filosofici soprattutto, o semplici richiami, flash, frammenti mnestici che si ricompongono come puzzle di manufatti archeo-psichici. L’armonia esteriore, fonetica, s’intreccia con reconditi significati, con morfemi e “logemi”, che riportano a strati latenti della psiche. Le poesie di Gavianu vanno rilette, non si capiscono subito: è come ripercorrere la corteccia di un tronco vivente, o una sezione geologica, ove si scorgono le varie fasi, o stadi concentrici, le vite che ripopolano l’esistenza, che è banale nella sua conformazione, ma nella sua essenza mira all’autenticità. Questa ricerca di autenticità si riflette in una versificazione densa, a volte scoscesa, che si aggrappa a brandelli di sistemi. Sen’altro i suoi versi invitano ad una profonda ricerca nell’in-sé, l’iperuranico mondo interiore, ove queste Idee/dee guidano la nostra Volontà di vivere (wille). Il poeta ci richiama alle radici dell’essere, a scavare sotto le superfici fenomenologiche dell’esistenza.

 Come verdi paradisi d’infanzia

memori

ora tramano, rami d’amore,

il tedio dei giorni.

 In uno schopenhaueriano pendolo non c’è via di scampo. Non vi sono vie di liberazione, né estetiche, né etiche. La noia è peggiore del desiderio. Nel dialoghi poetici che il Nostro ci propone tra sé e la sua interlocutrice si dice di evanescenti speranze d’al di là. La poesia diviene come lingua/stilo/osso pungente del puro naufragio che è il terminus ante quem dell’al di qua. Nella sua raccolta spessa e pungente la storia di un vita si trasfigura in una vita nella storia.

 Nato nel 1952 a Milano, Gianfranco Gavianu si è laureato in lettere Moderne con una tesi su Mario Luzi. Si è dedicato per anni all’insegnamento e «si è sempre mosso con febbrile curiosità in una sorta di nomadismo spirituale tra interessi letterari, artistici». Ha pubblicato le sue liriche in varie riviste letterarie e nella collana “I poeti del Ponte Vecchio” di Dantebus.

 

martedì 16 dicembre 2025

Elena Mearini, Eri neve e ti sei sciolta, Re nudo, Milano, 2025, € 14,00


 

Molto spesso ci si rivolge al passato nel ricordo di una persona cara scomparsa. In questo caso l’autrice si affida ai momenti vissuti con la sua Maya, un cane che era “l’altra parte” di lei, “quella migliore”. L’affetto tra la poetessa e Maya diventa, dopo la scomparsa del cane, un pretesto per rivedere la propria esistenza, per inoltrarsi nella quotidianità delle azioni, per far risorgere ciò che si immagina perduto o che realmente si è dissolto.

Eppure accade così / un giorno alla porta / il mai più si presenta / e porta via tutto il prima / lasciandoti qui / in pantofole sulla soglia / con il corpo sconosciuto / che già s’aggira / per la tua casa.

Come sottolinea Lello Voce nella preziosa prefazione, la storia della letteratura presenta frequentemente l’uomo che si rapporta con il suo cane: dal cane Argo di Ulisse, alla vergine cuccia di Parini, per citare i più famosi. Se poi ci si addentra nella letteratura per ragazzi gli esempi sembrano non esaurirsi. Ma in questo caso si va oltre. La presenza-assenza di un cane non è semplicemente un rapporto di pura affettività. È un modo di concepire la vita, una filosofia che scopre l’inevitabilità del destino, la potenza e nello stesso tempo la fragilità dei sentimenti d’amore, il rammarico per la debolezza umana.

Mi riguarda / il giro vuoto delle cose / l’incapacità di dire e non dire / il travaso del deserto / nei calici alzati / la landa desolata / tra una folla e l’altra / mi riguarda / la tua fame la sua sete / il digiuno nostro / dalla parola che sa di qualcosa / come la frutta di una volta / e la mano che la colse.

Si tratta di un viaggio che l’autrice percorre nella consapevolezza che il suo vissuto possa divenire metafora della vita, soprattutto là dove quotidianità e realtà sogliono scavalcare il visibile per addentrarsi nel mistero di gesti e di parole. C’è una prossemica di fondo che caratterizza il legame uomo-animale e che deve essere un confronto alla pari, rivelatore di una assoluta libertà.

Scrivevi sul pavimento / camminando / tutto il taciuto dell’uomo // da una stanza all’altra / le tue impronte erano / parole sbocciate // portavi in casa / girando / la primavera dell’indicibile.

Il dolore per la perdita del suo cane si tramuta in dolore per l’umanità, e nel silenzio c’è la riscoperta del canto della natura.

Il cielo ha l’occhio / bianco del cieco (…) Ti cerco dopo la pioggia / in ogni livido della terra (…) Chiedo all’albero il segreto / della sua verticale possente / del tronco che si eleva / nonostante la foglia cada (…) Ho abitato la sabbia / inseguito le foglie / dormito tra i sassi (…)

Così anche il vuoto che lascia una perdita, quella assenza-presenza di Maya, richiama la memoria di giorni trascorsi nell’abbraccio pur con linguaggi differenti che diventano suoni, gesti e si traducono per la poetessa in versi.

Erano poche le ore / dell’abbraccio e del divano / un residuo di giorno / dopo la cena di sempre (…)

Esce dalla custodia del tempo / questo mare d’infanzia / e mi suona addosso / il vibrato delle onde / - stona sempre / la cosa che non torna / solo tu resti / accordata al presente / come un’assenza mai partita.

-a te devo la scoperta / di questo nulla scrivente-

Insomma, Maya diviene l’attrice principale della scrittura di Elena Mearini, che nello stesso tempo assume le vesti di chi traduce in parole i segni di chi non ha parole ma solo affetto e comprensione, di chi segue con amore l’amata, di chi conduce ed è condotto.

Sono meno / da quando non ci sei / sottrazione che non so / cos’abbia sottratto / sono diminuita / scesa al meno dove resto / al meno che mi resta / il più eri tu / somma aperta / all’alto e al basso della vita.

Eri neve e ti sei sciolta” rimane una silloge intrigante, ricca di domande, ricca di trascorsi particolari, ricca di un’umanità che sa dialogare, pur nel dolore di una perdita, pur nel tormento di una vita di persistenti interrogativi e continui perché.

 

Enea Biumi

 

 

giovedì 4 dicembre 2025

Li Po. La clessidra di bambù, a cura di Roberto Mussapi, Bibliotheka, 2025, € 14,00



Nella storia della letteratura cinese l’epoca della dinastia Tang (618-907 d.C.) è considerata come il periodo d’oro della poesia, sia per la ricchezza dei suoi contenuti sia per le forme artistiche e sia per l’ampiezza degli argomenti trattati. Innumeri infatti sono i poeti. Fra questi spicca il nome di Li Po (all’anagrafe Li Bai) (701-762), nato nel tempo che si narra come più fecondo della letteratura orientale. Felice e interessante, dunque, è stata la scelta di Roberto Mussapi nell’individuare e tradurre alcune sue poesie (ne scrisse più di 900). Nella postfazione lo stesso Mussapi ci illustra le motivazioni della sua scelta unita alla spiegazione riguardante le varie implicazioni che si devono affrontare nel tradurre l’ideogramma cinese. Quello che rimane al lettore è l’immersione in un mondo lontano nel tempo ma estremamente vitale, vero, consapevole di un destino che va oltre la materialità del quotidiano, capace di passioni e rimorsi, nonché di contemplazioni, di silenzi e di sogni. E il tempo è importante nelle liriche di Li Po, ne scandisce le emozioni, incornicia il suo andare, esalta i suoi pensieri. Non per nulla il titolo della silloge ricorre alla similitudine della clessidra e alla sua specificazione: il “bambù”, che tutti riconoscono come una pianta dai mille usi e dalle mille qualità.

La mia barca leggera è passata / per diecimila strati di montagne.

"Settanta anatre mandarine color porpora / giocano a coppie nel buio della Corte. Si / abbandonano al piacere giorno e notte, / sognando che duri mille autunni”.

Non per nulla Li Po è stato considerato “il celeste poeta”, colui cioè che, attraverso una capacità creativa eccezionale, riesce a riportare un’atmosfera magica che stupisce e avvolge. I suoi viaggi sono i nostri viaggi, le sue immagini diventano nostre e, pur distanti epoche, civiltà e culture, anche al giorno d’oggi la sua poesia affascina e incanta. Il viaggio è la metafora della vita e diventa per Li Po un’occasione alla ricerca di se stesso, della propria salvazione, attraverso la conoscenza del male e la purificazione nel bene.

 Duro il cammino, e aspro, pieno di incroci: / dove mi trovo, adesso? Arriverà il tempo / che il vento possente infrangerà le onde, / e issate le vele traverserò il mare.

 Passa la giovinezza e la primavera scompare, / nei miei capelli bianchi vedo l’autunno. / Più breve di quella di un pino la nostra vita. / Naturale che fuggano la bellezza e la forza. / Potessi inforcare un Drago Celeste, / per inalare atomi di luna e sole, / divenire immortale!

 Il profumo del vento invita alla danza, / i limpidi flauti accompagnano le melodie.

 A Li Po bastava una coppa di vino, sosteneva l’amico Tu Fu, pure lui poeta, per scrivere cento poesie. In effetti anche in questa raccolta il vino la fa da padrone. È come se fosse il suo compagno di viaggio, il suo interlocutore, la sua salvezza.

 La ragazza del Sud mesce allegramente vino. / Miei giovani fratelli, / venuti qui a Chin-ling a dirmi addio, / scoliamo il vino fino all’ultima coppa!

 Ma finché non ci sarà Li Po sulla Terrazza della Notte, / a che razza di gente venderai il tuo vino?

 Ero seduto a bere e non mi accorsi del buio, / finché petali cadenti mi riempirono le pieghe dell’abito. / Mi alzai, ebbro, mi mossi verso il ruscello lunare: / diradati gli uomini, gli uccelli scomparsi.

 «La vita non è altro che un lungo sogno, / inutile sciuparla con il lavoro e gli affanni.» / Così dicendo restai tutto il giorno ubriaco / disteso nel portico davanti alla porta.

 Nelle occasioni di gioia o di dolore come in quelle di indignazione, il vino lo ispirava, lo confortava, lo eccitava. Bisogna dire che versi di eccezionale incisività e bravura sono germogliati proprio da qualche bicchiere di vino, sgorgati come sorgenti d’acqua che disseta. Ma non bisogna farsi ingannare. Il vino, la sbronza, sono solo momenti di una vita che va colta in tutta la sua ampiezza. Ecco allora l’intelligenza nel disporre gli istanti più memorabili, la bravura nel raccogliere le più disparate sfaccettature della natura che sopravvengono in aiuto e che accompagnano sogni e desideri, illusioni e disillusioni, amori e battaglie. L’attenzione a ciò che lo circonda fa di Li Po un poeta di grande curiosità. Si interessa di tutto e di tutti. Offe giudizi su quello che vede e sente. Non ha timore di inimicarsi i potenti. E parla della povera gente come di re e imperatori, di regine, di dignitari di corte e di giovani fanciulle.

 Il re di Wu sta festeggiando sulla Torre Ku-su. / Hsi-shih, la regina, danza, eccitata dal vino. / È bella, incontrollabile. / Ora, sorridendo, si piega verso la finestra a Oriente, / su un divano di bianca giada.

 La nobile Chao spazzola la sella intarsiata di perle, / monta il suo palafreno e piange, / bagnando le sue guance rosee di lacrime. / Oggi una donna d’alto rango nel palazzo di Han, / domani, in una terra lontana, / sarà una schiava barbara.

 Molte ragazze del Sud sono bianche e lucenti. / Spesso governano la scialuppa. / Nei loro occhi civettuoli / si cela l’esca della  primavera.

 Che cosa, / che cosa affligge il suo cuore? / Sul suo viso vedi / solo le tracce umide delle lacrime.

 Li Po viaggiò in lungo e in largo per il paese. Descrisse paesaggi, commentò lo splendore e la ricchezza della natura, e si immerse nella meraviglia del sogno e nella fantasia del soprannaturale. Passò dal racconto di spazi sconfinati alla figurazione di palazzi d’oro, dall’immersione nella quiete e nel silenzio al rumore dei carri trainati dai fenici e alle melodie di strumenti paradisiaci. In tutto ciò emerge un’impressione di grandiosità e vigore, dove realtà e immaginazione evocano emozione e suggestioni. In effetti per Li Po la vita reale risiede nella sua anima. La sua inclinazione al taoismo, l’appagamento non di maniera ad una esistenza al limite dell’eremita, la sua immedesimazione nella natura, lo guidano e lo confortano, lo sorreggono soprattutto nei momenti difficili. E la sua poesia ne arricchisce la vita.

 E poi per me chiedete al fiume che scorre a oriente / se sia più eterno il suo fluire o il mio addio.

 Enea Biumi

 

 

Gianfranco Gavianu, Icone di un viaggio, Dantebus Edizioni, Roma, 2025

  Opera poetica stratificata, densa e meditativa  recensione a cura di Vincenzo Capodiferro «“Icone di un viaggio” di Gianfranco Gavianu...