C’è molto di
concreto a cui si può credere già nell’apertura: lo sgocciolio, la pendola, il
cartello, i chiodi, dove i dettagli emergono esprimenti; impongono
l’ammiccamento riconoscibile adatto a farsi viatico all’insorgere di un tempo
quale unità estatica; inoltre “placido e verticale si soddisfa/ il vostro
cielomare”. E’ “Mosaico del viandante”, esito testuale di Adelio Fusé, a
giudizio di chi scrive, una delle voci più significative della poesia italiana
contemporanea definibile “di ricerca”. Qui s’intende sviluppare un diario in
seconda persona singolare, dove però l’io e il tu sono profondamente
intrecciati in un connubio che esplora in atto il filo conduttore temporale
attraverso osservazioni del presente e recuperi dal passato in una sequenza
cronologica sovvertita che annulla le distanze e colma gli iati. Fusé riesce a
costruire sulla pagina composizioni nelle quali la solidità e l’efficacia
profonda delle strofe e dei versi offrono peculiari opzioni imprevedibili nella
sapiente tenuta della tempistica stessa di versificazione, quasi una partitura
complessa capace di avvistamenti evocativi e stratificazioni analitiche, “il
rito di una sola volta/ la sua custode/ e nel segreto che ti rimane/ ti
attardi”; quasi un’epoca di echi che si propaga, un effetto di variazioni che
si distinguono in cromatiche ed acustiche, una determinazione che include il
coinvolgimento di luoghi che dimensionano misurazioni emotive e pertinenze
dialettiche, incisioni occasionali ed episodi reclusi, attinenze all’uscita
dagli svaghi nel ripristino lucido di un sentire sempre ubiquo: “ti riacciuffi
a vent’anni con chi tu sai/ in una specie di notte perno/ da Montmartre
planando sopra le luci/ di un cielo capovolto:/ il futuro emanava bagliori/ di
sicura veggenza”. L’attimo recuperato dall’autore è evento reinterpretato alla
luce delle vivificazioni frammentate e conduce verso l’esprimibile continuo
della curva, figura appagante lo sviluppo appartato della direzione. Nella
traiettoria dei versi non si esclude il possibile avvistamento dell’archè dei
presocratici, il principio che determina l’individuazione di un’origine qui non
dichiaratamente ammessa ma incombente nella stessa vocazione insita nel rinnovo
dei moti, nel tracciato disegnato dalle vibrazioni dei termini. Adelio Fusé accosta
la sensibilità del quesito alla fragilità dell’apparenza, tenendo costante il
movimento o mutamento all’indirizzo del punto di domanda, quando la
persistente preparazione del segno
comunica, con straordinaria perizia, la porosità consonantica della tessitura:
“eco di conchiglia che si propaga/ condotto che non tace e tracima”. C’è un
varco accolto che periodizza l’esito possibile, nel portendere un itinerario
conoscitivo tale da dirsi anabasi per le molte implicazioni che sanno però
sempre, nella tecnica dell’autore, darsi efficaci episodi letterali di una
qualità dinamica sul piano che costruisce il rapporto costante di significante/
significato. Il mosaico incide, nella vocazione culturale dell’autore, quasi
potesse trasmettere una forte sensazione di anelito all’incontro,
all’avvistamento che è bisogno, medicamento per le ferite del vagare. Si
percepiscono spazi aperti e dimensioni fisiche tra i versi, tentativi adulti di
condensare la risposta interpretativa all’insinuarsi ardente delle assuefazioni.
Ma anche cantieri e luoghi urbani determinano una topografia del percepibile:
“concentra vita arruffata il parcheggio h 24/ e il maratoneta delle ere lì
s’infiltra”; la mossa del viandante diventa allora voce di narrazione,
distribuzione di accenni che praticano storie, e storie di elementi che si
fanno profili. Sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, stare,
avere, agire, patire...sembrano cogliersi tutte, le categorie aristoteliche,
tra le vicissitudini dei versi, nell’afflato conoscitivo che li anima e che li
rende via via più dicibili e narranti. Gli eventi collettivi drammatici si
confrontano con i ricordi personali lieti in un intreccio temporale che si fa
mite e catartico; sospende il giudizio intonando una tonalità piana, evocativa
dove “là nel punto d’immissione otterrai/ il crocevia delle correnti”. Il
viandante è tale in sintonia con un tempo interpretabile, e a tutto ciò
alludono i riferimenti a Machado, Eliot, Saramago; nella costante attenzione
che libera dalla morte, evolve verso la predisposizione all’ascolto mimetico,
all’astrazione filtrante. Adelio Fusé rimuove le scorie del dettato statico, le
rinnova e depura in un procedere interrogativo e pensoso che determina l’avvio
del meccanismo linguistico, tessendo i collegamenti grafici di una scrittura
che “aspiri alla meraviglia/ che sia nostalgia/ a incorrotte avvisaglie”.
Andrea Rompianesi
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