La vita come
affanno nella citazione da Lucrezio, autore amato da Enea Biumi che in questa
sua opera poetica in lingua varesina, proposta con la relativa versione
italiana, attinge dalle grazie inesauste della quotidianità esposta nel teatro
della natura, quelle sensazioni accese nell’attimo del passacuore, nella
dicitura limpida del presagio, attraverso la sedimentazione di una malinconia.
E’ una osservazione liminare alle soglie di una funzione che abita
l’espressione interrogante, al calmo sentire della brezza percepita; così
l’andare della poesia stessa e il guardare i riflessi contingenti: “La vàrdi
vugà via/ tutt a un bòtt/ senza paròll”, “La guardo volar via/ improvvisamente/
senza parole”. Una riscrittura in due lingue specifiche, quella di Biumi, più
che una traduzione; quasi una mutabilità di accensioni sonore nella concentrazione
delle sillabe, del ritmo anche notturno che evidenzia le incertezze e i dubbi
rivisitati attraverso correlativi panici. Il vento anima le eccezioni, le
conduce nello scorrere impassibile dei mesi e delle stagioni; acconsente
nell’ambiente ad una osservazione che può essere lamento ma non ignaro di una
ironia gentile e contemplativa. Il sogno ripercorre, a volte, l’insenatura del
tempo per recuperare i minimi atti di un’era lontana che riemerge nella
peculiarità di uno stimolo sempre sensitivo. Ancora sussurra l’anelito
ungarettiano dell’essere creatura ma nel confronto della pietra con il pianto
che non si vede, con le attese cadute, le stanchezze; nel verso che il poeta
pone a chiusura di una sua poesia: “e sunt un sass”, “e sono un sasso”. L’istante
fermo del silenzio che comporta tutta la serietà della scommessa che segue il
dubbio, ma anche della dolcezza espressa dal sentimento amoroso che contrasta
la fatica dei giorni, il male di vivere. Ci sono voci che giungono da
suggestioni antiche e agresti, da estensioni seduttive e osservate nelle
variazioni cromatiche dei tramonti, nell’accendersi delle parole, nelle
titubanze che determinano il nostro procedere. Fiati di vento e cortili
d’infanzia, “il sole nasconde il caldo/ dietro nuvole nere come corvi”, respiri
emergono dalle stanze dell’ascolto, pergole e lacrime, tutta la dimensione
esistenziale che Enea Biumi raccoglie, filtra ed interpreta con sensibilità
acuta e ponendo quel punto di domanda che non esclude il timore della mancanza:
“Uramài i campàgn/ hinn di sfulcìtt/ ca gìran a tùrna ai pòbi/ e ai scarpà di
rùng”, “Ormai le campagne/ sono inganni/ che si aggirano fra pioppi/ e argini
di rogge”. Inganni appunto, ma anche estreme aperture, ostinati aneliti
nell’attimo in cui “Lusingano sempre/ i rami fioriti del ciliegio”.
Andrea Rompianesi
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