domenica 10 febbraio 2019

RIFLESSI - Enea Biumi

Aurelio Prudenzio Clemente “Dittochaeon” – Doppio Nutrimento (Book Editore, 2018)





La Book Editore di Massimo Scrignòli da molto tempo ci ha abituato alla proposta di numerose eccellenze editoriali nell’ambito della poesia e della prosa contemporanee. In questo caso l’attenzione è rivolta ad un autore dell’antichità: Aurelio Prudenzio Clemente, importante poeta latino cristiano, nato in Spagna, nel 348. L’opera, “Dittochaeon” (Doppio Nutrimento), è in quartine di esametri e affronta temi dell’Antico e del Nuovo Testamento. I testi sono poi tradotti, in una formula interpretativa che non si esita a definire geniale, da Nina Nasilli, poetessa di spessore a sua volta e artista che, in questa sede, pone a fronte di ogni componimento, in origine già nato con l’intenzione di commentare immagini dipinte o musive, suoi disegni per una esegesi evocativa. Ma, al di là di una specifica valutazione filologica all’origine dell’audace compito che bene sottolinea l’afflusso di suggestioni del periodo classico virgiliano, oraziano, ovidiano (senza dimenticare Lucrezio e Seneca), nel dettato stilistico di Prudenzio, quello che stupisce, considerando l’estrema difficoltà di rendere compatibili sistemi metrici profondamente diversi, è il risultato della versione italiana che Nasilli concentra in un privilegio raffinato concesso ad assonanze, consonanze ed allitterazioni con un criterio di apertura affidato all’endecasillabo. Non essendo però esso sufficiente ad esaurire l’esametro, viene allora chiuso da un semi-verso, quasi sempre un settenario o novenario, raramente un quinario o un metro più corto. Tale resa permette una lettura ondulata, sapientemente evocativa e suadente nella sonorità percepibile. Per certi aspetti, e qui si pone il problema cardine sulla traducibilità poetica, è come assistere alla genesi di altri testi contemporanei in lingua italiana, scaturiti dalla versione originale latina quale fonte semantica. Il respiro sintattico, precisa Nasilli, vuole offrire un sapore classicheggiante. Personalmente ritengo che lo sforzo della traduzione o meglio, in questo caso, della felice riscrittura abbia oltrepassato lo schematismo rischioso di una partitura fossilizzata alla fedeltà filologica in una trasposizione temporale così marcata, approdando ad una formula in lingua italiana dalla struttura preziosa e raffinata, di tale corposità ritmica da rappresentare una nuova autenticità interpretativa tipica, nel valore musicale, del vero virtuoso. “Foedera coniugii celebrabant auspice coetu/ forte Galilei; iam derant vina ministris”: “Eran nozze che stavan celebrando/ con folla d’invitati in festa/ un giorno i Galilei; ed ormai il vino/ veniva a mancare ai coppieri”. Ondoso davvero il moto dei versi disegna e raffigura gli episodi biblici, in calibratura anche visiva affinché la poesia abiti la pagina. L’affascinante seduzione  del testo incontra efficacemente la profondità dei contenuti espressi dalla Sacra Scrittura, in una sintesi esegetica e appunto icastica che tocca un tono sapienziale e concilia potentemente l’ermeneutica dei dettagli con l’afflato della preghiera.

     Andrea Rompianesi

venerdì 8 febbraio 2019

Presentazione del romanzo "Rosa fresca aulentissima" di Enea Biumi

Luvinate: Sala Polivalente, ore 18,00, 
21 febbraio 2019

MUSICA E PAROLE IN BIBLIOTECA

Presentazione del romanzo 
"Rosa fresca aulentissima" di Enea Biumi
con il critico Gianfranco Gavianu
Leggeranno alcuni brani Laura Lampugnani 
e Adele Boari

Momento musicale con
EINE  KLEINE  ENSEMBLE

Enea Biumi-02 Penombra

venerdì 1 febbraio 2019

Maria Pia Quintavalla “Quinta vez” (Stampa 2009, 2018)


Il percorso apre una soluzione al tu/madre nella composizione tipica del poemetto in prosa. Un luogo d’accoglienza intima, pensato e riproposto attraverso l’attenzione figurativa suscitante un’aspettativa dialogica. Così inizia “Quinta vez”, opera di Maria Pia Quintavalla, tra le voci poetiche più interessanti della generazione nata negli anni Cinquanta del Novecento. C’è un’accensione verbale in stile amplificante che denota la figurazione spirituale che s’irradia dagli spunti di una biografia passata e si traduce in considerazioni postume. La tessitura espansiva incoraggia una prosa determinata e poetica nella cadenza ritmica che vuole superare l’insidioso ossimoro insito nella stessa formula del poemetto in prosa. Allungando il passo lessicale nella trasformazione sensitiva dei vocaboli condensanti l’umore intimo e fertile della gestazione. La paura riconoscibile e antica può forse arretrare al caleidoscopico affiorare della musica, di quell’essere armonia di relazioni rivisitate alla luce di un congedo che si vuole limite valicabile attraverso un vibrare quieto, una gestualità avviata. La seconda sezione del libro imposta una versificazione asimmetrica concentrata nella evocazione dei passaggi generazionali; l’identità della figlia che compone la raffigurata estendibilità del percepire le delicate e, nello stesso tempo, forti tensioni modulate al femminile, quando poi “al commento/ che mi chiude in un grido a mezzanotte” risponde la trafittura colposa, l’intermittenza degli aloni. Il riscatto può coinvolgere storie quali quella di China, madre fanciulla rinata in Castiglia, come testimone di una volontarietà capace di amorosa espansione in una condotta di suggestioni aromatiche e speziate, quali i segni di terre ibride e canti nomadi. Il corso esorta vicissitudini di ancoraggio storico e mitico allo stesso tempo, in un travolgere le insidie diramate dagli accenni presunti che comportano la consistenza terrosa degli spasmi, gli aneliti emozionali condivisi mentre “la macchina da guerra già suonava/ antiche glorie di tenzoni,/ e di battaglie che perdute, sfumavano/ la linea di orizzonte di una persa notte”. L’ultima sezione dell’opera pone sulla pagina la vivacità pensosa di un dialogo teatrale, “le sorelle”, dove il patire intimo e sofferto dei più viscerali rapporti famigliari si fa scenario di affondo psicologico, nella volontà di richiamare l’attenzione verso le complessità spesso indicibili delle trame affettive.
                                                                                                                          Andrea Rompianesi
 

mercoledì 16 gennaio 2019

Gilberto Isella “Arepo” (Book Editore, 2018)

“Mai si raggruma limo su chiodi d’assito/ né in pance d’alambicchi ombra è tenuta”; eccelso esempio di una magistrale architettura linguistica, questo distico iniziale fa parte di una poesia di “Arepo”, opera di Gilberto Isella. Autore di preziose figurazioni letterarie, tra i più significativi della generazione nata negli anni Quaranta del Novecento, Isella appare sempre più teso verso un vertice creativo che abbina l’esemplare costruzione poetica nella meticolosa definizione del significante con la profondità filosofica della identificazione del particolare nascosto ed enigmatico nel significato. Il titolo evoca l’elemento compreso in una antica iscrizione latina in forma di magico quadrato composto dalle parole sator, arepo, tenet, opera, rotas, capaci di determinare un palindromo. Ma l’autore non si sofferma su aspetti esoterici, privilegiando l’osservazione problematica nella sua inquieta dinamicità. Se l’esserci stesso in quanto tale è di per sé dinamico, secondo l’accezione espressa da Heidegger, l’esserci poetico ancor più infonde sostanza alle sfumature che acquisiscono toni ontologici. La materia deve riconvertirsi in forma capace di distinguere le personali attitudini che sensibilizzano cromie e fenomeni, emblemi e riemersioni, devozioni in un considerare aligero che scorre. Ma certo se il giallo è impaziente e non placa, trasferire i tratti inattuali è determinare il segreto possibile decifrarsi dei sintomi. La malinconia è trascinata dallo scorrere di tempi ubiqui, lontani dalla nostra capacità di coglierli se non sedotti, arresi alle discoste spinte vibranti sui bordi dei versi riaffacciati alle possibilità semantiche e autoriali. Isella ben comprende la necessità di superare, oltrepassare il significato usuale per svolgere ricognizione più vasta e adeguata all’ardente pazienza dei poeti. Un fluire incredulo detiene la grazia della continuazione esposta al bisogno emotivo di quella domanda alla quale la poesia azzarda la scelta della parola esatta, la folgorazione attimale dell’indicibile. I versi scolpiscono con la grazia del tratto una finezza espressiva che colpisce, nella stupita attenzione dell’ascolto. Siamo posti di fronte ad un esempio poetico di rara presenza nel tracciato di una produzione contemporanea troppo spesso adagiata in formule scontate e prevedibili. Qui la sostanza compone le simbologie e le coniugazioni, attraverso un’estensione lessicale ondulata e rapsodica. Le allitterazioni ricamano un disegno dalla raffinatezza espressiva oltre il definito, “dove la mente in esilio disvela/ i suoi segni più sagaci”, come profumi di pino che interrogano le nostre debolezze inusuali. Non vale forse l’episodio che concentra l’assolo nel deposto ancoraggio, attraverso sospensione di epitaffi e rigurgiti ad oltranza; meglio la svista, se mai sedotta, all’apice della configurazione nominale che sovrasta.  E così sai di poter individuare un’alternanza che, nei rivoli esegetici, comprende una via percorribile ed esposta alla riconoscibilità delle scansioni. Esistono ed emergono segnali di ripetute fisicità, rovine e pozzi, mulini ed anfore, sabbie e fave, sismi e ibis; come non esita a manifestarsi anche l’innesto in una prosa poetica che arde in umore di contenuta apocalisse. Denotazioni arcaiche impongono esperite visioni sottoposte all’implacabile e diuturno romitaggio quando, scrive Isella, “qualcosa peraltro s’inceppa/ nel montaggio vettoriale”. Significativa l’attenzione all’opera di Piranesi nei temi relativi alle rovine come elemento di un compiuto architettonico e il labirinto (o carcere) quale allegoria della condizione umana; proprio l’espressione, così, si attira l’elegante fioritura di una strofa del poeta capace di concentrare il sentimento delle cose colte dai sensi nella costruzione demiurgica dei moti tangibili: “Sul cilindro girante della notte/ concepì una ronda di pulegge/ per il suo piccolo cerebro/ sovrano”.



                Andrea Rompianesi     


martedì 15 gennaio 2019

Rosa fresca aulentissima


  Enea Biumi    “Rosa fresca aulentissima”   (Genesi Editrice, 2018)


  
“Alle dieci e quindici precise il campanile di San Biagio diede un tocco grave che proclamò l’abbrivio di uno scampanio disordinato ma felicemente festivo”. Inizia così il romanzo “Rosa fresca aulentissima” di Enea Biumi, autore varesino, indicando dalla prima battuta la vocazione descrittiva e l’acutezza dell’osservazione intenta a ritrarre efficacemente il piccolo mondo della provincia lombarda. Si potrebbero evocare i nomi di Chiara e Vitali, di una predisposizione al ritratto ironico e allusivo, anche se qui la vicenda si concentra sulla scomparsa di una attraente ragazza, figlia del sacrista del paese, immergendosi quindi nel clima dell’investigazione condotta dal maresciallo Rosario Panepinto. Il tutto si distende nell’accortezza di una scrittura che vede l’autore calibrare le effusioni espressive a disegno dei particolari e degli ambienti con la tessitura spontanea e determinata dai vividi caratteri dei personaggi che animano ipocrisie e maldicenze di paese, passioni inconfessabili e nascoste, tracce definibili di subitanee accensioni. Ben presto la tragedia s’impone con il ritrovamento del corpo della giovane assassinata. Il giallo assume le condizioni di specchio di una società minima oppressa da vizi privati e pubbliche virtù. La fluidità narrativa si armonizza con una indagine coinvolgente che avanza attraverso spunti godibili mai slegati dall’inquietudine propria di una domanda che si trasforma in denuncia civile. Le insofferenze diffuse, che spesso si trasformano in derive violente, impongono alla riflessione del lettore tutta la problematicità dell’esistenza nei suoi tratti sociali che non possono non essere anche politici. Ma la durezza dei contenuti viene sempre compensata da un’andatura narrante che caratterizza la scrittura di Enea Biumi, la profonda declinazione umanistica e la capacità di tratteggio cromatico della sua identità di poeta.

                                                                                                                      Andrea Rompianesi

Enea Biumi “Visighéri da vùus – Confusioni di voci” (Genesi Editrice, 2024)

  La confusione può essere davvero anche fusione di elementi che, pur mantenendo la loro identità, si fondono, si alleano, si contendono chi...