sabato 11 maggio 2024

Enea Biumi “Visighéri da vùus – Confusioni di voci” (Genesi Editrice, 2024)


 La confusione può essere davvero anche fusione di elementi che, pur mantenendo la loro identità, si fondono, si alleano, si contendono chiarezza e ibridazione di lingua, spunti, retaggi, profili, figure. “Visighéri da vùus – Confusioni di voci” è l’opera di Enea Biumi dove ritroviamo uno stile caratteristico dell’autore nel suo procedere in doppio linguaggio. Poesie curate in due vere e proprie versioni: varesino e italiano. La prima parte si determina in una condizione che evidenzia il recupero partecipe della memoria, in una sensibilità acuita dalla rielaborazione visiva e sonora: “Viuzza dai ricordi accesa/ con a fianco un muro d’ortiche/ in tanti dispetti impelagata// Mi soffoca la mente/ come rimasuglio di meridiana/ sbirciata nel niente”. Biumi segna passi che risuonano nelle strade periferiche, le più adatte a cogliere le minime sfumature di luce a disegnare esitazioni; le attese condivise negli attimi fugaci salvati dai ricordi. I versi brevi, immediati, si nutrono di una loro grazia lieve, di un respiro mite erede della terra. “Scamàgia ul sentimènt/ la fàna da cubià/ in la scarsèla dul vènt/ l’iér e’l dumàn” – “Fa sfigurare il sentimento/ l’ansia di accoppiare/ nella tasca del vento/ l’ieri e il domani”. Le domande si sviluppano nel confronto con gli stimoli del sacro visto attraverso le testimonianze storiche e artistiche di un territorio. Emerge intenso il profumo della notte, si intrecciano sentenze gentili e speranze lievi, la percezione del dubbio e della domanda inesausta. E’ davvero un passacuore, quello che si coglie alle origini dell’alba, che determina l’essenziale sentire di Biumi nel contatto intimo con le cose, la possibilità che l’ignoto si trasformi in dono. Un suono allora, quello del frinire nelle notti di luna, che acuisce la percezione capace ancora di elaborare una panica empatia. L’autore è osservatore attento delle diaspore umane, delle miserie come degli attimi di riscatto, talvolta umili ma preziosi; sa, inoltre, porre in vibrazione quella percezione di comune destino che caratterizza la poesia in quanto esito linguistico in grado di esprimere l’anima quando questa può dirsi la forma degli essenti. “Pace è questa falce di luna allo spuntar del giorno/ che nasconde meretrici di uomini ubriachi” scrive il poeta. La seconda parte si apre a suggerire percorsi verso un altrove geografico, ma non solo, che si rivela intriso di aspetti a volte opposti, comunque da decifrare nella osservazione reiterata...”Nànca ul su l’è bun de tramm fora/ da ‘stà bòza dul tèmp/ ca ma impòn de scapà” – “Nemmeno il sole riesce a liberarci/ da questa palude del tempo/ che ci obbliga a fuggire”. Qui si accennano note che parlano di aromi d’oriente; da Venezia a Istanbul, fino all’isola di Cipro, frequentata da Biumi in più occasioni, e che lo sospinge verso annotazioni rese in delicati passaggi e quasi trasparenti tramature: “Fuori c’è un vento che confonde/ il blu del cielo con un rimasuglio d’alito/ per pulire viuzze e parole di sconforto/ biascicate sotto voce come rosari per i morti”. E’ un tendere antico e contemporaneo che procede binario circa la contrapposizione di delusioni e afflati, attraverso una parola coltivata anche alla suggestione della musica di Vivaldi. C’è costante, nella poetica di Enea Biumi, il senso partecipe dell’osservazione discreta resa maieutica nella sua attenzione ai contenuti etici, dove l’umano è tale quando assume e svela la radice di una consapevolezza.

                                                                         Andrea Rompianesi

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