La
confusione può essere davvero anche fusione di elementi che, pur mantenendo la
loro identità, si fondono, si alleano, si contendono chiarezza e ibridazione di
lingua, spunti, retaggi, profili, figure. “Visighéri da vùus – Confusioni di
voci” è l’opera di Enea Biumi dove ritroviamo uno stile caratteristico
dell’autore nel suo procedere in doppio linguaggio. Poesie curate in due vere e
proprie versioni: varesino e italiano. La prima parte si determina in una
condizione che evidenzia il recupero partecipe della memoria, in una
sensibilità acuita dalla rielaborazione visiva e sonora: “Viuzza dai ricordi
accesa/ con a fianco un muro d’ortiche/ in tanti dispetti impelagata// Mi
soffoca la mente/ come rimasuglio di meridiana/ sbirciata nel niente”. Biumi
segna passi che risuonano nelle strade periferiche, le più adatte a cogliere le
minime sfumature di luce a disegnare esitazioni; le attese condivise negli
attimi fugaci salvati dai ricordi. I versi brevi, immediati, si nutrono di una
loro grazia lieve, di un respiro mite erede della terra. “Scamàgia ul
sentimènt/ la fàna da cubià/ in la scarsèla dul vènt/ l’iér e’l dumàn” – “Fa
sfigurare il sentimento/ l’ansia di accoppiare/ nella tasca del vento/ l’ieri e
il domani”. Le domande si sviluppano nel confronto con gli stimoli del sacro
visto attraverso le testimonianze storiche e artistiche di un territorio.
Emerge intenso il profumo della notte, si intrecciano sentenze gentili e
speranze lievi, la percezione del dubbio e della domanda inesausta. E’ davvero
un passacuore, quello che si coglie alle origini dell’alba, che determina
l’essenziale sentire di Biumi nel contatto intimo con le cose, la possibilità
che l’ignoto si trasformi in dono. Un suono allora, quello del frinire nelle
notti di luna, che acuisce la percezione capace ancora di elaborare una panica
empatia. L’autore è osservatore attento delle diaspore umane, delle miserie
come degli attimi di riscatto, talvolta umili ma preziosi; sa, inoltre, porre
in vibrazione quella percezione di comune destino che caratterizza la poesia in
quanto esito linguistico in grado di esprimere l’anima quando questa può dirsi
la forma degli essenti. “Pace è questa falce di luna allo spuntar del giorno/
che nasconde meretrici di uomini ubriachi” scrive il poeta. La seconda parte si
apre a suggerire percorsi verso un altrove geografico, ma non solo, che si
rivela intriso di aspetti a volte opposti, comunque da decifrare nella
osservazione reiterata...”Nànca ul su l’è bun de tramm fora/ da ‘stà bòza dul
tèmp/ ca ma impòn de scapà” – “Nemmeno il sole riesce a liberarci/ da questa
palude del tempo/ che ci obbliga a fuggire”. Qui si accennano note che parlano
di aromi d’oriente; da Venezia a Istanbul, fino all’isola di Cipro, frequentata
da Biumi in più occasioni, e che lo sospinge verso annotazioni rese in delicati
passaggi e quasi trasparenti tramature: “Fuori c’è un vento che confonde/ il
blu del cielo con un rimasuglio d’alito/ per pulire viuzze e parole di
sconforto/ biascicate sotto voce come rosari per i morti”. E’ un tendere antico
e contemporaneo che procede binario circa la contrapposizione di delusioni e
afflati, attraverso una parola coltivata anche alla suggestione della musica di
Vivaldi. C’è costante, nella poetica di Enea Biumi, il senso partecipe
dell’osservazione discreta resa maieutica nella sua attenzione ai contenuti
etici, dove l’umano è tale quando assume e svela la radice di una
consapevolezza.
Andrea Rompianesi
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