Con “Da ere relate” Andrea Rompianesi si fa portavoce
di una duplice concezione poetica. Da una parte la dicotomia prosa-poesia si
frantuma per formare un unicum poetico, dall’altra la poesia avvalora l’apporto
filosofico da cui ha scaturigine la weltamshaung dello scrittore stesso.
Non era semplice né scontato un simile procedimento, ma
l’elaborazione avvenuta fa sì che il lettore si trovi di fronte ad una serie di
riflessioni che lo conducono, attraverso puntuali specificazioni, ad un
approfondimento di ciò che lega la razionalità e l’irrazionalità, la natura ed
il suo procedere, il pragmatismo e il sentimento utopico.
“Se poi aristotelica voce insinuasse ciò che è
assolutamente vero così anche assolutamente essere, condurrei in sommo grado il
passaggio all’ambìto progetto di volo, di corale rinascente dilucolo.”
In questa breve estrapolazione di una frase si può
avvalorare e quindi giustificare l’affermazione sostenuta poc’anzi. Non c’è chi
non veda uno svolgersi stilistico di prosa poetica che si accolla e regge lo
studio e l’introspezione filosofica. Se ciò non bastasse basta ricorrere al
pensiero VII della seconda parte, riprodotto secondo uno schema poetico
verticale (VII bis).
Lo stile si traduce ipso facto in un filo conduttore che ci
trasporta a riconsiderare il criticismo kantiano non solo come momento più
elevato del pensiero filosofico ma anche come punto di partenza che ha saputo o
per lo meno ha cercato di superare il dogmatismo metafisico. Da qui si impone
la conoscenza, o quel che ne resta.
“Ma più di ogni iato, torna il rigore del mio criticismo
solerte, di più relativo, così da non porre verità spendibili da una ragion pura,
ma concedendo il tono seducente del compromesso con la ragion pratica,
necessitante l’imperativo categorico dell’ordine a dirsi la libertà personale termina
dove inizia l’altrui.”
Non è un caso, come si vede, che l’exergum iniziale riporti
proprio una citazione del grande filosofo tedesco, così come non è un caso che
nella seconda parte della raccolta venga riportata una citazione di San Tommaso
riguardante l’esistenza di Dio. Siamo su due fronti paralleli che si compongono
e scompongono come un puzzle e che ci inducono a profondi ripensamenti: su noi
stessi, sulla vita, sulla natura, sulle convinzioni e convenzioni.
Se riconsideriamo il titolo, che a prima vista può apparire
criptico, ci accorgiamo allora che le ere sono il passaggio del tempo,
del nostro tempo, del nostro sapere e conoscere, delle nostre incerte certezze.
E quell’aggettivo relate (dal participio passivo del verbo latino
referre) non sta solo ad indicare qualcosa cui si riferisce, bensì una
relazione a 360 gradi con noi stessi e il mondo che ci circonda.
“(…) certo bisogna reagire, tornare alle cose.
Riacquistare rapporto con i fenomeni, giungere alla visione d’origine,
concedere attesa (supposta attenzione?) per coscienza intenzionale attraverso (mia
cara) (e nel senso) di una epoché (sospeso il giudizio) (…) Intersoggettività
trascendentale o insieme delle umane operazioni.”
Ed ecco allora la necessità di rivolgersi ad altro. Meglio
ancora: ricercare il Supremo, ciò che non si percepisce se non con la fede,
riconoscere che altrimenti è un fallire, un venir meno: cercare un aggrappo,
chi ci sostiene.
“Il mio, a un punto, precipitare scomposto, turrito,
avulso, nell’acquoso ristagno di una escatologica incognita, attempata ad
angoscia. (…) Lo Spirito ha invaso il silenzio, sospinto l’acceso tumulto
alzandolo in fede aperta, così come accolta, assunta. Da segno su pelle, su
animo, inizia anche il tempo riflesso del cogliere il dato pensante che espone
il pensiero. Fede e ragione… riamato.”
A questo punto sembra che ogni ostacolo sia stato rimosso.
La filosofia ha offerto se stessa come Vestale sacrificale e sacrificata, la
teologia ha guidato e ordinato il soccorso. Non rimane che andare “verso
l’Assoluto trascendente/ (l’Essere divino è il suo stesso essere sussistente;
gli enti hanno l’essere per partecipazione) // verso il Padre / «… come io vi
ho amato…»”
Enea Biumi
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