lunedì 22 agosto 2022

Rosario Aveni, Accade, Genesi Editrice, Torino, 2020


 

La cifra costante della raccolta “Accade” di Rosario Aveni è il presente. Nell’architettura dei suoi versi è infatti possibile leggere quanto di reale succede (accade, appunto) senza sbavature retoriche o vani rimpianti. Tanto è vero che “in questa stagione/ rimpianti sono petali di fiori/ recisi dal vento”, vale a dire qualcosa destinata a scomparire, qualcosa su cui è inutile soffermarsi: meglio guardare a ciò che è vigente perché c’è chi “nasce e muore/ nel suo stesso divenire/ come la vita/ l’amore/ una farfalla/ dalla sera all’alba.”

Esiste allora un disegno, una specie di afflusso sensoriale, capace e determinato che riverbera l’attualità trasformandola in poesia. Rosario Aveni riesce a tessere versi in uno spazio temporale e geografico che coniuga fisicità e spiritualità in un ordine compatto e naturale, dove il pensiero si abbandona a punti pertinaci di riflessione – che Gros-Pietro chiama “moto perpetuo di una storia infinita” – come fossero sassi buttati nel lago atti a creare concentrici cerchi di emozioni.

Qui si abbandonano, dunque, le smagliature dell’anima, gli inganni del tempo, le reiterazioni di quesiti senza risposta, per ritornare ad ascoltare il peso dei propri passi, per non confondersi nell’irrazionale, attenendosi al rigore del quotidiano, l’unico in grado ancora di suggestioni poetiche al di là di mere fantasie o profezie.

“Il parco si svuota/ la gente torna a casa/ Resto seduto/ su questa panchina/ a contemplare / un tramonto radioso”.

Si tratta quindi di un percorso poetico che insiste su spunti, lacerti, agnizioni, trame, visioni che, come in un mosaico, si intrecciano, attraverso anche ad una serie di correlativi oggettivi, e dialogano tra loro offrendo al lettore abbrivii di forte impatto emotivo. Non altrimenti si comprenderebbero quelle “onde anomale di pensieri” o quel suo erigere “un muro/ fra me e il mondo/ convinto / che il mio spazio vitale / fosse illuminato dal buio/ In una notte senza stelle/ ritrovai/ l’aquilone e l’anima”. Allo stesso modo “tutto / appare più vero/al calar della sera”, e non sembri una contraddizione (il buio in effetti dovrebbe rendere tutto più incerto e misterioso). Contrariamente, invece, la sera rende più comprensibile il mondo, gli uomini, nonché “il cuore (che) pulsa/ effimeri attimi d’amore”.

In questo contesto non manca il desiderio dell’assoluto “anelo che ritorni/ l’angelo dell’alba/ per riprendere il volo/ raggiungere insieme/ il paradiso perduto/ sospeso nel buio”. Infatti, la contemplazione della natura o il ricordo che si fa vivo e pressante (“l’inevitabile avvenne/ senza rimorsi/ senza che alcuno/ lo venisse a sapere”) rimangono un passe-partout per segnalare, o in alcuni casi mimetizzare, il proprio ego (“ma gli occhi/ non mentono/ Riflettono la luce/ di chi sono”)

È necessario e opportuno, alla fine, segnalare il ritmo dei versi, adottato in forme brevi, senza punteggiatura, dove l’enjambement rientra come un intercalare espressionistico, in un modello stilistico musicalmente sciolto e convincente che fa da cartina di tornasole all’elaborazione e all’approfondimento contenutistico che rievoca transiti umani tra sofferenze e riflessioni, slanci e abbandoni, realtà e fantasia.

 

Enea Biumi

 

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