La cifra
costante della raccolta “Accade” di Rosario Aveni è il presente. Nell’architettura
dei suoi versi è infatti possibile leggere quanto di reale succede (accade,
appunto) senza sbavature retoriche o vani rimpianti. Tanto è vero che “in
questa stagione/ rimpianti sono petali di fiori/ recisi dal vento”, vale a
dire qualcosa destinata a scomparire, qualcosa su cui è inutile soffermarsi:
meglio guardare a ciò che è vigente perché c’è chi “nasce e muore/ nel suo
stesso divenire/ come la vita/ l’amore/ una farfalla/ dalla sera all’alba.”
Esiste allora
un disegno, una specie di afflusso sensoriale, capace e determinato che
riverbera l’attualità trasformandola in poesia. Rosario Aveni riesce a tessere
versi in uno spazio temporale e geografico che coniuga fisicità e spiritualità
in un ordine compatto e naturale, dove il pensiero si abbandona a punti pertinaci
di riflessione – che Gros-Pietro chiama “moto perpetuo di una storia
infinita” – come fossero sassi buttati nel lago atti a creare concentrici
cerchi di emozioni.
Qui si
abbandonano, dunque, le smagliature dell’anima, gli inganni del tempo, le
reiterazioni di quesiti senza risposta, per ritornare ad ascoltare il peso dei
propri passi, per non confondersi nell’irrazionale, attenendosi al rigore del
quotidiano, l’unico in grado ancora di suggestioni poetiche al di là di mere
fantasie o profezie.
“Il parco
si svuota/ la gente torna a casa/ Resto seduto/ su questa panchina/ a
contemplare / un tramonto radioso”.
Si tratta
quindi di un percorso poetico che insiste su spunti, lacerti, agnizioni, trame,
visioni che, come in un mosaico, si intrecciano, attraverso anche ad una serie
di correlativi oggettivi, e dialogano tra loro offrendo al lettore abbrivii di
forte impatto emotivo. Non altrimenti si comprenderebbero quelle “onde
anomale di pensieri” o quel suo erigere “un muro/ fra me e il mondo/
convinto / che il mio spazio vitale / fosse illuminato dal buio/ In una notte
senza stelle/ ritrovai/ l’aquilone e l’anima”. Allo stesso modo “tutto /
appare più vero/al calar della sera”, e non sembri una contraddizione (il
buio in effetti dovrebbe rendere tutto più incerto e misterioso).
Contrariamente, invece, la sera rende più comprensibile il mondo, gli uomini,
nonché “il cuore (che) pulsa/ effimeri attimi d’amore”.
In questo
contesto non manca il desiderio dell’assoluto “anelo che ritorni/ l’angelo
dell’alba/ per riprendere il volo/ raggiungere insieme/ il paradiso perduto/
sospeso nel buio”. Infatti, la contemplazione della natura o il ricordo che
si fa vivo e pressante (“l’inevitabile avvenne/ senza rimorsi/ senza che
alcuno/ lo venisse a sapere”) rimangono un passe-partout per segnalare, o
in alcuni casi mimetizzare, il proprio ego (“ma gli occhi/ non mentono/
Riflettono la luce/ di chi sono”)
È necessario e
opportuno, alla fine, segnalare il ritmo dei versi, adottato in forme brevi,
senza punteggiatura, dove l’enjambement rientra come un intercalare
espressionistico, in un modello stilistico musicalmente sciolto e convincente
che fa da cartina di tornasole all’elaborazione e all’approfondimento
contenutistico che rievoca transiti umani tra sofferenze e riflessioni, slanci
e abbandoni, realtà e fantasia.
Enea Biumi
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