Il verso lungo quasi narrante intercede per lo
sviluppo di un flusso evidenziato nel sostegno alla virulenza dell’insidia che
comporta il tempo vissuto e contemporaneo, assestato nella tribolazione
dell’evento. Esonda l’aperto pensiero nel ricorrente auspicio che determina il
saldo e robusto poetare di Oronzo Liuzzi nel titolo “Un giorno adesso”.
Compiuto passo/destino verso testimonianza di forza civile, quando l’accorpato
disegno introduce nella tessitura poematica la tecnica della parola chiave e
dell’iterazione. Insiste il persistente approccio alla domanda inesausta,
all’osservazione caparbia: “l’ansia la tua il pentimento scava dentro la tenera
carne/ con la punta dell’ago la conversazione in mutande diverte...”, come
evocando l’assenso imprevisto a testimonianza di sofferta tendenza dove però
all’angolo incombe l’esplicito punto di fuga. Il termine a ripresa scandisce i
tempi e i ritmi coagulando il deciso intervento condensato nell’innesto
praticabile, dicibile, attestato dalla considerazione di un odierno malessere
ancorato alle svolte e ai passaggi. Liuzzi determina la possibilità di un
ascolto attento, esigente ma libero nella capacità di filtrare il recupero del
vocabolo atteso, giusto; la parola portata al dicibile del moto quasi ondoso
dei versi lunghi. Così “il tempo ecco si ripete circolare dolce tremendo apre/
le braccia ai passi dell’uomo poi torna nel buio genera/ pianti stridori
riempie il mondo di fiamme gioca con/ la vita devo andare avanti sconfino” e
l’enjambement attenua ma allo stesso tempo riecheggia la proposta discorsiva
che affronta percezione del dolore e male di vivere. La risposta è medicamento
ritmico estendibile nello scorrere dei passaggi nei motivi panici, aurorali,
verso un “eccomi” che testimonia la presenza volitiva di una poesia di forte
maturazione semantica; la riflessione è canora, l’avamposto avviluppa, il
quesito incombe. Impossibile ignorare i momenti della collera, l’afflizione
emergente, l’artificio rabbioso quando a divergere sono le prospettive
angolari, i trascorsi tumulti esigenti che l’autore richiama, ponendoli a
confronto con il retaggio di una storia personale e collettiva che si fa
ermeneutica filtrante. Accostamenti imprevisti, a volte, impongono il moderno
sentire l’evolversi dei contrasti, anche materici, policromi, quando l’oltre
sorpassa “una festa di colori il tempo”. Nell’opera di Liuzzi è sempre
identificabile la capacità di avvicinare in modo equilibrato ed efficace la
tonalità riflessiva con la contaminazione del quotidiano, rielaborando poi la
flessione pensante del recupero. E’ affrontare le sfide reiterate della
necessità, cogliendo quegli squarci riconoscibili e utilizzabili nella
frequentazione dei detriti, consapevoli delle perdite annunciate, non scelte,
ammiccanti l’imprevisto ormeggio negli spazi ancora percepibili che la poesia
indica, perché “la vita si ricorda per raccontarla/ probabilmente riviverla”, e
forse al suono di canzoni che riecheggiano il pensiero emotivamente condotto.
E’ ancora il tratto dell’oggi e del sempre che il poeta concede, salvandolo dal
precipitare convulso dei drammi, delle schegge frantumate e inerenti al senso
diffuso di ferita. L’ascolto che il verso di Liuzzi intende veicolare sussiste
di tratti espressivi in moto, come passaggi ancorati ad un dicibile esteso verso
il significato complessivo di una ricerca che si pone nell’ottica del trovare
sempre comunque qualcosa, se non altro l’attesa citando Beckett, per poi dirla
al vento di una sera. Il poeta confida: “schizzo dall’agonia una forma di
evasione a luce spenta” e “catturo il tormento del giorno il fallimento i
crolli gl’intrecci”, dove sempre eretto il punto di domanda incalza quella
poesia che ne è generatrice stessa. Certo la distrazione ci porta allo
svelamento e molto affiora incontrastato quando “il passato un maremoto ribolle
liquido spietato illude”, attuando l’accostamento che riproduce l’intimo
dolersi. La precisa struttura poetica di Oronzo Liuzzi in questo libro
concentra nella pregevole composizione una costruzione linguistica che accosta
l’identità dei termini prima dello stesso intento, misurando l’effetto sulla
corposa peculiarità dei vocaboli che disegnano tracciati svelanti sulla
spazialità della pagina dove si moltiplicano “piccoli gesti quotidiani feste
impulsi ritratti scene appassionate” e l’autore esplicita : “non ci penso devo
per questo penso posso allora volo”.
Andrea Rompianesi
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