mercoledì 25 giugno 2025

Andrea Rompianesi, Letteralmente, Amos Edizioni, 2025

 



(estratto dalla prefazione di Enea Biumi)


La passione e lo studio della letteratura contemporanea (quella per intenderci che va dal se­condo novecento fino ad oggi) hanno indotto Andrea Rompianesi ad un costante rapporto/confronto con quanto veniva pubblicato dal 2010 in poi, in un’ottica di critica d’autore, molto vicina a quella militante. Ciò che lo ha mosso è stato il desiderio di un assoluto approfondimento secondo una sua idea di poetica, di certo non solo soggettiva, ma ponderata in contesti più ampi, e generata da anni di perdurato interesse nonché predilezione di quello che per lui era – ed è – sostanziale al fenomeno “scrittura”.

Riuniti in quel “peculiare genere metaletterario che è un’Antologia” (l’osservazione appar­tiene a Pier Vincenzo Mengaldo) questi percorsi di scrittura sono un esempio del lavoro sul campo portato avanti da Rompianesi nella certezza di contribuire a far udire la voce degli scrittori esaminati e registrati, anche perché validamente inseriti in un contesto culturale ampio seppure a ridosso del grande pubblico, e quasi underground o borderline, vista l’oggettiva presenza di testi che coinvolgono sia sigle di nicchia che commerciali.

Sono centodue i percorsi che qui vengono presi in esame con quella visione, come esponevo, sempre attenta alla congiunzione tra significato e significante. Ogni opera ed ogni autore, infatti, vengono colti e guardati attraverso la lente di un’attenta valutazione alla ricerca di un quid capace di generare ed evidenziare individualità precise emergenti. Il suo esame, inoltre, non vuole e non deve essere solo di superficie, e quindi benevolo, bensì severo indagatore. La disanima di cui si avvale comprende le regole della retorica che offre al lettore l’intelligenza di ciò che sta scritto in un contesto di vera e propria critica letteraria, lontana però dal vuoto di una generica apologia del testo. 

I percorsi di scrittura di Rompianesi sono per evidenziare e non per elogiare, alieni da quella specie di captatio benevolentiae che spesso conduce un critico obnubilando la verità del contenuto e della forma. Ne scaturisce quindi una professionalità plasmata da un continuo studio e da una appartenenza seria e coerente al mondo della scrittura. Non per nulla la casa editrice da lui fondata ha la dicitura di “Scrittura creativa” e la promessa di pubblicare solo opere di qualità: massimo tre in un anno. 

Per rimanere nel simbolo del percorso è evidente che ogni cammino o sentiero contiene di per sé diversi indirizzi e fermate: ecco allora che l’itinerario, che viene proposto, allarga i suoi orizzonti, si distende ed estende ad altre rielaborazioni. Non esiste, ci fa sapere Rompianesi, solo la letteratura in lingua. Da Pasolini ad altri autorevoli critici, come il già citato Pier Vincenzo Mengaldo, abbiamo ormai imparato che la letteratura italiana è costituita anche da autori dialettali. Perciò il suo interesse, autorevolmente supportato, si posa anche su poeti come Nina Nasilli, Ferruccio Giuliani, Emilio Rentocchini.

Chiaramente mi è impossibile citare tutte le opere da lui analizzate. La buona volontà e soprattutto la curiosità condurranno il singolo lettore nella giusta comprensione, sebbene gli esempi che potrei fare siano molteplici e tutti indicativi del buon lavoro svolto.

Nel cammino intrapreso, dunque, si evidenziano alla fine mete e risultati. La meta è stata raggiunta con quell’accostarsi quasi in punta di piedi ai lettori, suggerendo loro, nello spirito della maieutica socratica, alcuni accostamenti, alcuni passaggi, alcuni indirizzi. I risultati sono quelli espressi in forma più o meno esplicita in un florilegio indicativo e appagante del suo lavoro.

Il compito adesso sta al lettore. Gli spunti ci sono. Basta riconoscerli e farne buon uso per una comprensione migliore di quegli autori antologizzati e per una consapevolezza maggiore di quello che la letteratura sa donarci.

 

 




mercoledì 28 maggio 2025

SEI AUTORI RACCONTANO IN TV LA LUCANIA ATTRAVERSO I PROPRI LIBRI

                                                                Giovedi 29 Maggio

ore 17:30

  I MAGNIFICI 100

MEDinLUCANIA TV

Social Media MED

  MEDinLUCANIA FOCUS ritorna con altri 6 importanti autori  per raccontare la Lucania attraverso i libri 

 Gianfranco Blasi (Potenza)

Nunzio Festa (Pomarico)

Bruno Di Pietro (Montemurro)

Vincenzo Corraro (Viggianello)

Filippo Gazzaneo (Senise)

Prospero Cascini (Castelsaraceno)

 

Conduce Leo Pisani

 Introduce Dino Nicolia

 Regia Michelangelo Tarasco


Il 29 Maggio alle ore 17,30 in TV (medinlucana tv) 6 autori lucani parleranno della LUCANIA attraverso le proprie pubblicazioni in un incontro condotto dal giornalista Leo Pisani. Ne parleranno G.Blasi, già parlamentare della Repubblica, appassionato di Poesia: si ispira ad un filone letterario  nato negli Stati Uniti nei primi del 900 “IMAGISMO”. E’ il piu’ intraprendente divulgatore culturale della nostra Regione.  

N. Festa : è nato a Matera, ha vissuto a Pomarico, in Lunigiana e ora vive in Romagna. Giornalista, poeta e scrittore collabora  con Liguriaday, Corriere Romagna  ed altri spazi  cartacei e telematici .

B. Di PIETRO( vive e lavora a Napoli esercitando la professione forense ) ha pubblicato alcune  raccolte poetiche, suoi interventi di critica  sono apparsi su Nazione Indiana. E’ presente in numerose antologie. Fondatore con Gabriele Frasca e Mariano Baino della casa editrice ”d’IF”. Vincenzo Curraro vive sui monti del Pollino, docente di lettere, ha esordito nella narrativa nel 2005 con il romanzo “Sahara Consilina”, poi la raccolta di racconti ”dimmi che centra la felicità”, poi la raccolta di poesia ”l’età del bosco”: Scrive testi per spettacoli per bambini per il Millenium Enseble, gruppo di fiati  romani.

Filippo Gazzaneo , vive a Senise e insegna storia e filosofia , narratore e poeta: traspare nella sua attività artistica il suo antico AMORE per l’ideazione, la scrittura e regia di spettacoli teatrali, scrittura di testi di analisi ,critica letteraria, filosofica e storica. 

P. Cascini, già dirigente scolastico, già consulente psicologo presso le case circondariali di Potenza e Lagonegro, nel 2016 ,dopo sessant’anni dalla sua primina (1956),si è pensionato e si è dedicato alla Poesia come amore per la sua terra e la sua Regione e i suoi affetti. Nel 2024    la sua silloge” IL GIROTONDO.. tra primina e buona scuola nella  Lucania” ha vinto il primo premio al concorso nazionale di Poesia  “ versi nel borgo”. E nel 2025 L’opera “L’unicita’ della Lucania: un approccio fotografico e poetico” è stata premiata nel concorso letterario internazionale COSENZA.. CITTA’ FEDERICIANA. 

L’incontro sarà introdotto da Dino Nicolia, Funzionario della commissione Europea  dal1988,dove si è occupato  di Politica Industriale, Politica Ambientale e ora di PAC (Politica Agricola Comune)e segue i programmi di sviluppo rurale delle piu’ importanti Regioni Meridionali . Ha pubblicato un importante testo sulla strategia euro mediterranea e le politiche di sviluppo per il mezzogiorno con prefazione dell’ex presidente ONU l’egiziano Boutros Ghali E’ Presidente dell’associazione MEDinLUCANIA una associazione che riabilita  l’impegno civile al servizio del bene COMUNE.

La Regia sarà curata da Michelangelo Tarasco! 

 


 

venerdì 16 maggio 2025

Antonio Rossi “Quandoltre” (Book Editore, 2025)

 

                               


 Davvero possiamo cogliere l’identità di una partitura specificamente vitale e accuratamente fonosimbolica, attrezzata ad uso sintattico svelante oltre l’approssimarsi reiterato del quotidiano, verso ulteriori esegesi del reale. “Quandoltre”, titolo poetico di Antonio Rossi, assume la valenza di una interpretazione compatibile con l’imprevisto del dato, accostandosi alle cose attraverso una variegata composizione ontologica. ”Una fune affilata/ nottetempo il prato/ delimita; nessuna/ lesione o suppletivo/ assillo da essa procede”; così comporta lo stratificato geologico che si riflette nell’atto del definire, nella poiesi articolata, il lessico materico concretizzante gli spazi, i luoghi, le configurazioni periferiche attinenti alla pratica elaborativa posata sulla capacità dell’autore di essenzializzare nel nitore semantico, la pluralità dei suggerimenti; umori di anastrofe o iperbato determinano schemi linguistici di una sapiente formazione strutturale. La scrittura poetica di Antonio Rossi è pregiata, raffinata, accurata; imposta calibrature ad evento nello stimolo, poi fissate appena da successione dei termini e concede esemplare fusione di nitore e ritmo, nel delineare le cognizioni che l’ambiente suscita nell’osservatore quando la molteplicità dei dati richiede la forza delegata al processo di sintesi. “Soppalchi a sfalsata geometria/ e multiple capriate nonché tramezzi/ unitamente a studiati avancorpi”; quasi intelaiature foniche decrittate e riprodotte in assunzioni di termini strutturalmente composti in una espressività solida, come innestate nel corpo degli ambienti quasi fossero cantieri che rendono la loro configurazione oggettuale in versi includenti fonetici supporti, destinazioni e fogge, ponteggi e arredi, travetti e andatoie. “Colorate lanterne trattengono”...come possibili interni d’inespresse vicende fermate in un tempo sospeso; atmosfere e giacimenti, utensili e abissi contendono alla spazialità della pagina l’incessante metamorfosi appagata nella sedimentazione di un linguaggio che ferma l’inquadratura in una davvero sorvegliata regia densa e protratta nella non esclusa visibilità diuturna pure tra i vapori sprigionati, “sotto un cielo che solo detriti/ e schegge porta”. Sfoghi e parole, sospiri e pertugi, disamine e istanze conducono ad adagi costituenti la precisione espressiva della sintesi poetica in un comporre fonetico attento alla sosta, alla calibratura prosodica, nella trasposizione di segni che dalla natura circostante esplicitano traiettorie e mutamenti non solo consueti. “La lungamente disattesa/ stazione di ristoro i vaganti/ fra i piani larghi accoglie”; c’è un sentire di afflati notturni scolpiti in una visibilità musicale che denota frequenze sillabiche, ritmi posanti la fruizione accentuata attraverso vegetali rimandi e meccaniche deviazioni. Antonio Rossi si pone in questo suo lavoro testuale “ad una certa distanza” per osservare con cognizione e senso maieutico della scrittura poetica dove è segno cogliere l’accento accorto della definizione rigorosa. “Ma pur se’n vanno/ flussi e folate contro la più alta/ scogliera e le onde che dal deserto/ cortile s’intravedono a sé ogni cosa/ chiamando”.

 

                                                              Andrea Rompianesi

 


Tre lucani tra i premiati al Diciassettesimo concorso letterario “Cosenza città federiciana”

 


L’associazione socio-culturale “club della Poesia”di Cosenza che, da sempre, organizza il Concorso ha diffuso una nota stampa nella quale comunica i premiati del concorso Letterario internazionale.

Nella sezione poesia libri editi, sottosezione “plausi ars poetica” è inserita la silloge “L’unicità Della Lucania: un approccio fotografico e poetico” di Prospero e Valerio Cascini, Monetti editore, presentata l’anno scorso al salone del libro di Torino e che sara   presentata nel comune di Grugliasco (To) sabato prossimo 17 maggio, unitamente all’inaugurazione della mostra “Terre lucane” del pittore Gianni Bergamini che ha già  tradotto in dipinti tante poesie della silloge. Lo stesso comunicato informa che nella sezione narrativa edita, sottosezione menzioni d’onore è inserito il testo “Altomonte e dintorni” di Nuccio Provenzano, Pellegrini Editore.

Le commissioni giudicatrici sono state così composte: sez. poesia, presidente prof.ssa Concetta Natoli (poetessa, scrittrice) presidente onorario dott. Vincenzo  Galluzzi (dirigente medico e Poeta) e i membri giurati Elvira Dodaro, Valentina Iusi, Gioconda Oliano, Teresa Esposito, Antonio Marullo, Giuseppe Piluso e Pierpaolo Rodighiero. Tutti poeti o esperti della materia.

La commissione Sezione narrativa è stata presieduta dal prof. Rolando Perri (dirigente scolastico, saggista, recensore etterario). Gli altri giurati sono stati Tommaso Orsimarsi, Antonella Daffinoti, Erminia Madeo e Maria de Fazio. Tutti esperti della materia. I tre premiati sono originari della zona sud della Basilicata (i cugini Cascini di Castelsaraceno) e Nuccio Provenzano di (San Severino Lucano).

Valerio Cascini vive dal 1963 a Torino, ma frequenta Castelsaraceno da sempre e scrive le sue poesie in vernacolo castellano-lucano. Nuccio e Prospero sono stati tanti anni insieme a Lagonegro: loro città studi. Nuccio, da tempo ormai, vive ad Altomonte e come un buon lucano ama il paese in cui vive.

Le premiazioni ci saranno il 14 e 15 giugno presso l’hotel san Francesco Rende (Cs).


 


lunedì 5 maggio 2025

Carlo Ricci Bertarelli, Trasformazioni, Il Convivio Editore, 2023, € 8,00








Gli “appunti di passaggio”, come li definisce l’autore nel sottotitolo alla raccolta, si riferiscono alla città di Milano. Una città spesso in contraddizione con se stessa, una città che mette alla prova chi la incontra, una città che affascina e che spaventa, ma che alla fine ci coinvolge e ci avvolge. A ben vedere il poeta Carlo Ricci Bertarelli si inoltra fra le mura e le vie della città cercando di scoprirne i segreti, di carpire il suo evolversi, di capirne gli umori e le frequentazioni. “Trasformazioni” è una silloge di profondo desiderio e d’amore per Milano, vista e visitata con consapevolezza e ottiche sempre diverse, come disparate sono le occasioni di incontro. L’autore, esplicitamente, non sostiene d’amare la città. Ma i suoi percorsi, i suoi “fotogrammi” non sono altro che la traduzione della magia e del fascino che Milano offre. Carlo Ricci Bertarelli è uno dei tanti non milanesi d’origine che diventano nel tempo milanesi de facto. Lo testimoniano queste liriche che sono il prodotto di un vissuto interiore in intimo contatto con la città. “Sono solo / appunti di passaggio” afferma nella prima poesia che introduce la silloge. Tuttavia, mano a mano che il lettore prosegue, si rende conto che gli appunti diventano momenti essenziali per una comunione d’affetti che anelano all’essenza stessa della città. “Mi passa accanto la città / traccia confini d’inverno e cemento / nei profili scossi dei mattoni / terre di fraintendimenti // di crepe marmoree // ma i confini sono traiettorie distratte / di grafici / estratte dal sedimento”. Ecco che Milano si insinua nei pensieri del poeta attraverso le sue case, le sue vie, i suoi inganni prospettici e quasi surreali, che diventano interlocutori, comunque, di un tragitto, di uno scorrere, di un 
πάντα ῥεῖ esistenziale. E allora il suo viaggio si fa più reale e dichiarato: “L’ululato del treno / scuote i sotterranei”, “Dal tunnel della metropolitana / le scale eruttano passi”. Così la mimesi diventa un contributo alla comprensione, coniugando aspetti occasionali, come un incidente d’auto, a visioni dal sapore strettamente realistici come: “Nell’attesa / il sole ormai è sorto/ la città è già in fiamme”, “È mattino presto / l’asfalto d’agosto già ribolle.”, “Nel giorno che s’attarda a fioca luce”, “Mi sorprende la sera / in uno slargo tra le case nell’ora / che ti ho rivisto camminare tra le aiuole”. La visione esterna, reale, della città viene introiettata nella coscienza dell’autore tanto che non vi è più differenza tra una fotografia e una riflessione, tra quello che appare e quello che invece è il sentimento del poeta. “Così mentre cammini alzi il naso, comunque / rimani risucchiato da quelle altezze / e stai lì stupito a guardare la trasformazione / ognuna come un’ombra che sorge o un racconto / e subito rientri, invischiato / senza parlare. – Guardali: sono gli Dei – Pensi.”. Nasce così quasi un prodigio: Milano che affascina e strega il poeta, che non gli permette di distaccarsene, che lo trattiene e lo culla. “A Milano, a passeggiare in centro / è come passeggiare in salotto: / un salotto ben arredato, curato. / Nelle vie eleganti del centro / sembra di non uscire di casa / passi di strada in strada / come di stanza in stanza;”. Nonostante ciò, l’autore è costretto a staccarsene. Forse per questo è indotto a sottolineare, attraverso una rievocazione in versi, il suo rapporto con la città, a cantarne elogi e difetti, ad offrire al lettore un diario particolarmente emotivo. Alla fine, una confessione traduce in sintesi il suo stato d’animo: “Se non fossi / dei miei boschi / delle nebbie novembrine // di questo cielo incastonato / tra grovigli di colline // d’etrusche radure / di terre brune // abiterei te / sarei delle tue brine :/ sinceramente // mia cara Milano”.



Enea Biumi

 


giovedì 17 aprile 2025

Carlo Zanzi, Corpi imperfetti, Macchione Varese, 2025, € 15,00

 



Il romanzo di Carlo Zanzi “Corpi imperfetti” si dipana in una doppia scrittura: una in cui il protagonista si narra in prima persona, l’altra in cui le vicende vengono rappresentate in terza persona. Ciò che lega i due momenti narrativi, apparentemente così diversi tra loro, almeno nella forma, è la ricerca di un perché sulla fragilità umana. Mauro si interroga sulla propria decadenza, si arrovella per trovare una spiegazione al suo malessere fisico che diventa immediatamente anche malessere morale, mentre l’autore, scegliendo una narrazione in terza persona, mette in luce una serie di gesti, situazioni, linguaggio, che portano il lettore a riflettere sulle astenie, sulle incertezze, sulle frustrazioni che offre la vita. Non è nuovo, Zanzi, ad una narrazione costruita sulla debolezza umana. Ma in questo nuovo romanzo le domande rimbalzano più prepotenti e trovano un’esplicita risposta nel dialogo con Dio. Non è facile raggiungere un equilibrio sentimentale qui in terra. Non è facile non soggiacere al dolore per la perdita di un figlio. Ma la speranza di un ritrovarsi in un possibile aldilà dà forza e continuità ad un’esistenza che sente la propria fine imminente.

Chiaramente non si tratta di un romanzo a tesi. La vita è vista e descritta in maniera realistica. Zanzi non pretende alcun insegnamento, né ci obbliga a determinate condivisioni. La constatazione dell’imperfezione umana rende il racconto più vicino al lettore e lo invoglia a riflessioni che forse in periodi recenti non si è più usi ponderare. Tra l’altro, la presenza del covid, pur non essendone la conduzione principale, rende più concreta e attuale la considerazione sull’inconsistenza e la fragilità dell’uomo. Anche l’amore che i due giovani protagonisti perseguono ha un andamento oscillante e a volte decisamente incerto. Oltre alla presenza della pandemia, l’autore fa un quadro della “sua” città, Varese, che risulta perfettamente parallelo e intrinseco alla vita dei suoi personaggi. Varese è presente nei pensieri, nei gesti, nelle abitudini dei protagonisti, viene descritta, non dico nei minimi particolari, ma nella verità di una realtà urbana vista a tutto tondo: con le sue vie, le sue chiese, le sue piazze, i suoi pregi e i suoi difetti. Non è un caso se in uno degli ultimi capitoli Zanzi parli del funerale di Maroni. In tale contesto non possiamo omettere che lo scrittore è anche autore di un Valzer par Varés (parole e musica) che lo ha reso celebre in città.

Nel capitolo finale, come fosse un postscriptum, troviamo un’annotazione personale. L’autore abbandona le vesti dello scrittore per indossare i panni del figlio. Ritroviamo così un omaggio a sua madre Ines, redatto a pochi mesi di distanza dalla sua morte. Omaggio che comunque rimane nel contesto del romanzo: una meditazione sulla fragilità umana nel commovente ricordo della scomparsa di una persona cara. È il desiderio di un figlio che non vuole dimenticare il valore e l’importanza della propria madre, come “un bisogno di annotare i ricordi di lei, un tentativo estremo e ‘inutile’ (eppure potente) per sentirla vicina.”  E anche in quest’ultima riflessione ci si sente la labilità di ciò che l’uomo vorrebbe e la sua inutile, seppur immensa e vigorosa, inanità.

Enea Biumi


martedì 15 aprile 2025

Carlo Banfi, Lo svizzero del Canton TI, Giuliano Ladolfi Editore, 2025




Con questo romanzo Banfi ritorna alla descrizione del suo mondo rurale per farne un elogio spassionato, sincero, certo, ma non nostalgico, bensì realistico e attuale. L’incipit stesso ci immette immediatamente in un’atmosfera contadina che si materializza attraverso un colloquio ideale con una donna di nome Oniria.

“Oniria, tu vuoi che io ti racconti come sono questi miei giorni infiniti di sole, con la terra riarsa e la tenue ombra che ti dà sollievo nel pomeriggio infuocato. Cammino coi piedi scalzi nell’erba da poco rasata e senti la frescura che ti tonifica, ma manca l’ardire di affrontare il campo aperto, regno di luce.” (…) “Oniria tu vuoi che io ti racconti di questa continua attesa e intanto il sole arde e divora le cime anzi che precipitino nel freddo squallore dopo il crepuscolo.” “Ed è già sera, la mia sera.”

In questo approccio, che possiede un sapore e una forza poetica montaliana, possiamo scorgere una specie di correlativo oggettivo che ci indica il percorso. I giorni di sole sono senz’altro momenti di vita, mentre la terra riarsa fa pensare alle difficoltà che si incontrano giorno dopo giorno, in cui solo una tenue ombra dà sollievo al pomeriggio infuocato. Allo stesso modo l’incedere a piedi scalzi non fa altro che sottolineare una contrapposizione esistenziale: da una parte l’ardire e l’ardore nell’affrontare il quotidiano, dall’altra la fatica di fronte a problemi spesso irrisolvibili, che creano disagio e paura di fronte alla realtà. La continua attesa, invece, mi fa pensare ad una aspettativa di un futuro migliore prima che il male o il dolore ci assalgano (anzi che le cime precipitino nel freddo squallore). Mentre la sera, non è necessario sottolinearlo, riprende la metafora foscoliana della morte.

Non vorrei però forzare la mano ad una interpretazione allegorica di un romanzo che è espressione di realismo e di attualità, per quanto sentimentalmente affine ad un inno amorevole e poetico nei confronti della natura. Oltretutto il nome scelto per l’interlocutrice ci fa intravedere come il racconto sia a mezzo tra desiderio e sogno. E ci indica un auspicio: che il desiderio si avveri ed il sogno ci permetta il ritrovo in un locus amoenus, ricreato attraverso la scrittura in un’ideale di vita in sintonia con la natura stessa, scandita dalle stagioni e dalla storia.

Un primo elemento, quindi, che emerge immediatamente, al di là dell’approccio lirico riscontrato, è l’incontro con la “Grande Madre”, la Terra. Un incontro sostenuto da sincero affetto, come atto dovuto di riconoscenza. Un incontro di devozione e ammirazione per i doni che Cibele ci offre, per il prodigio dei frutti che ne sortono, per la necessità di un sostentamento vitale, per la visione pacifica, ancorché difficoltosa, di animali che interagiscono con gli uomini.

Spesso Banfi, nei suoi colloqui, mi parla del suo “eremo”, una specie di personale e solitario rifugio. Che non è soltanto una costruzione materiale, vale a dire casa fatta di sassi e mattoni con allegato terreno agricolo e boschivo, bensì edificio (e artificio) letterario, innalzato in un mondo protetto, in cui si fondono l’Arcadia teocritea, le Bucoliche virgiliane, e le Mirici pascoliane, il tutto riportato alla contemporaneità in cui i ricordi d’infanzia della campagna del basso varesotto (Caronno Pertusella), il lavoro quotidiano (insegnante a Luino), la storia (la liberazione del ’45 attraverso le lotte partigiane) e l’attualità (la recente pandemia) si fondono in un unicum corpus. Si tratta, per intendersi, come una indispensabile voglia di equilibrio - forse impossibile - tra la ricerca della serenità personale e le tragedie della Storia, analizzate in forma profonda e adeguata.

D’altra parte l’autore non è nuovo a questo procedere. Si possono ricordare a tal proposito i suoi precedenti romanzi. Infatti, “Il capanno”, “La via Palestrina”, “Linea Cadorna”, offrono contenuti che si avvicinano prevalentemente ai due filoni individuati in “Lo svizzero del Canton Ti”: la Natura e la Storia. In tale contesto il suo sguardo si inoltra nei dettagli, si fa investigatore e accanto ad una panoramica oggettiva della campagna costruisce soggettivamente sentimenti, proiezioni, inibizioni, storie vere o veritiere di una umanità spesso sconvolta ed oltraggiata, quasi sempre succube di un destino contrastato e crudele. Così l’incontro con la storia antica (quella del ‘500), con la tragedia della seconda guerra mondiale, con l’idillio campagnolo, diventano occasione per uno sguardo ai comportamenti d’oggigiorno. Oggi, ci suggerisce Banfi, gli istinti dei giovani e la loro educazione vengono deviati sull’effimero e su un inconsistente edonismo, che non portano a nulla, non lasciano impronte e spesso sono delinquenziali e ammorbanti l’esistenza comunitaria.

L’autore è consapevole di non avere a disposizione la bacchetta magica, ma nel contempo non vuole rinunciare alla denuncia. Di fronte alla crisi economica che ci attanaglia non pone soluzioni, ma verifiche. Esistono problemi di immigrazione ed emigrazione che non vanno affrontati con vuoti slogan che non concludono nulla. Anche perché, molto probabilmente, l’uomo in sé non è capace di appianare le cose. È necessario, dopo aver fatto i conti con il dolore fisico e con l’angoscia morale, che l’uomo da solo non potrà risolvere, andare oltre. Per questo Banfi introduce l’argomento religioso attraverso l’incontro, ad esempio, con le Romite del Sacro Monte. O l’accenno a papa Francesco che indica la corsa al denaro come uno dei peggiori mali dell’umanità.

Ecco allora che davanti a tutta una serie di problematiche odierne, la vita rurale si trasforma idealmente in un luogo di serenità e pacifica convivenza, un ultimo angolo di mitica “età dell’oro”, momento di sopravvivenza idilliaca, tipica delle utopie letterarie. Tuttavia non possiamo estraniarci o rinchiuderci in torri d’avorio. Per l’intellettuale la ricerca della verità è un fatto incontrovertibile. Irrinunciabile. È per questo che in “Lo svizzero del Canton Ti” le descrizioni sono realistiche, vivaci e sempre dosate e raffinate. Banfi, in ultima analisi, non rinuncia al concetto di αλήθεια (verità) che unito a quello di ασυχια (tranquillità) mi fa comprendere anche la sua poetica. Questi due parametri possono avere una funzione catartica nel suo romanzo. Sicuramente lo sono nella vita.

“Eri tu, Oniria, volto di sogno, augurio di ogni bene e felicità.”

Enea Biumi


La poesia di P. Cascini "A Micaela Maria nata in piena pandemia" la menzione d’onore al concorso internazionale di poesia creativa "una stanza tutta per sé"

 Al poeta lucano Prospero Cascini con la sua poesia “A Micaela Maria nata in piena Pandemia” è stata assegnata la Menzione D’onore al Concor...