Enea Biumi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
Enea Biumi
Nel Bestiario d’amore, pubblicato da Rizzoli nel 1974
e ora riproposto da Roberto Russo per le Edizioni Graphe.it, nella collana
diretta da Antonio Bux, Le mancuspie, Rossana Ombres riprende in chiave
moderna quelle che nel Medioevo erano analogie, simboli e metafore, reinventando
con estrema lucidità un mondo tra il reale e il fantastico dove è l’elemento
femminile a trainare e a risolvere le 
criticità e dove l’intelletto concretizza la sua essenza in una sorta di
visione ultraterrena dal sapore mistico e trascendente. Non per nulla l’esergo della
prima sezione intitolata Pentagramma apocrifo si regge su una frase di John
Donne che liberamente tradotta recita: “gli angeli sono capaci di
coinvolgere la nostra anima, e per ciò noi li veneriamo”. Parallelamente la
seconda sezione denominata “Secondo pentagramma apocrifo” presenta come
esergo i versi di Juan Gelman che riprendono il medesimo clima: “Angeli,
angeli. / Chi dice di averli visti, non li ha mai visti / Chi li vede, canta
dentro di sé”.  E gli angeli,
infatti, hanno fin dalle prime pagine un ruolo di trade-union tra l’uomo
e il mistero. Segnano un punto di incontro tra la secolarità e la religiosità.
Offrono una prospettiva al dolore del mondo che si vuole redimere ma non si sa
come. 
All’Angelo del sognato fui vicina / qualche secondo nella
collaretta di un labirinto. / Il grado ultimo del magistero alchimistico /
imparai dall’Angelo del sognato, / dimenticata alla sua fosforescenza minerale.
L’Angelo che in remoti tempi ci divise / dissaldando la
doppia creatura con la sua fiamma feroce / perché ci cercassimo / (…) oggi è
qui / dritto in piedi / a riscuotere la caccia dai suoi guardiani.
Bastò una notte di martirio e dal cielo / piovvero
fiammelle coi sette numeri / dei sette pianeti che lodano il Signore. 
Si avverte fin da subito l’importanza della lezione biblica,
talmudica, giudaico-cristiana. L’autrice ci immerge immediatamente nel clima
della cabbala ebraica, inserendoci in un mondo magico che ci avvolge e a volte
ci perseguita perché non riusciamo a comprendere dove ci possa condurre. 
Noi non sappiamo nulla / siamo con le nostre pietre che
ci ritraggono / santificati di un magro chiarore / sul fondo dell’Abbazia (…)
Si tratta di una specie di ossessione derivante da
un’atmosfera di presenze, di corpi reali al limite della sensualità, e di ombre
trasparenti, irreali, che narrano storie d’amore dai tratti surreali. Ed è la
donna la vera protagonista di questa silloge, sia che si chiami Eva, sia che si
chiami Bella o Lilit o Eleazar o Maria. Esse portano su di sé una strana
inquietudine, sperimentano il caos di una realtà a volte estranea, a volte
complice, vivono la loro fisicità come una contraddizione perenne. Demoni e
angeli le costringono in una identità che non sentono propria e fuggono in un
mondo fantasioso. Nemmeno l’attrazione del sesso le corrompe. Anzi. Spesso ne
sentono la repulsione. E si rifugiano nella verginità o in una illusoria
maternità.
Diabolicamente perseverando nell’umile proposta / di
cambiamento, va Ireneo al martirio: / e la vergine Tecla / fatte le dita a
particola tocca inorridita il gemizio / delle stimmate appena esplose. Altre
donne / vanno al supplizio / leste, con lo zinale macchiato e il lessico
dialettale.
Le parole hanno una forza dirompente che spesso travalica la
corporeità ubicandosi in una specie di iperspazio immaginifico e al tempo
stesso reale. C’è una atemporalità che trascina il lettore in un altrove, lo
sorprende con una esposizione favoleggiante, ricca di demoni, mostri, angeli,
santi, donne asessuate, bimbi traditi. Ci si ritrova in ambienti da fiaba,
leggendari, immaginifici, che sembrano appartenere a tutti e a nessuno. La
poetessa ci porta ad ascoltare versi che incantano e che raccontano in forma
analogica i drammi del nostro secolo. Sono interessanti a tal proposito le note
che l’autrice pone in coda alle poesie, in cui ricostruisce i suoi momenti di
ispirazione. Da qui si può facilmente dedurre ciò che la Ombres valorizza
maggiormente, vale a dire una cultura che si innesta sulla tradizione classica,
sulla mistica ebraica, sulle fiabe popolari e non, sui racconti medievali. Si
può registrare in questa silloge poetica una ricchezza di documentazione, un
procedere attraverso sperimentazioni linguistiche, un richiamo a temi
esistenziali che attraversano tutta la nostra storia. Sebbene a introduzione
delle note Rossana Ombres scriva che “non sono state apposte per dotare il
libro di chiose colte”, non si può non sottolineare la sua vasta erudizione
che naturalmente non si sovrappone alla sua poesia, ma ne accompagna i versi e
li traduce.
Non è un caso se il titolo di questa raccolta poetica si
riconduce al libro di Richard de Fournival che nel XIII° scrisse il suo Bestiaire
d'Amour.  È evidente che i due testi
siano completamente differenti, essendo quello di Richard de Fournival intriso
di cultura medievale, per cui l’amore diventa occasione per redigere un manuale
didattico morale. In Ombres invece è la testimonianza di un percorso e di uno
studio non solo culturale, bensì di una ricerca empatica che associa sapere e
umanità, andando oltre il tempo, oltre la storia. È il processo di un’indagine
psicologica e sentimentale che non vuole insegnare ma coinvolgere, non vuole
dettare precetti ma risvegliare coscienze.
“Chi ha uno yod nel nome / ha il suono delle galassie
future: / e lui era profeta di un mondo venturo / soprattutto per quel
piccolissimo yod.”
Le vicende e i protagonisti di questa silloge possiedono un
vigore che straripa in qualcosa di infausto, mortale e fatale, trascinati da
demoni mutanti, avviluppati da una continua lotta tra bene e male, risucchiati
in un vortice di parole e sogni, in attesa di una impossibile panacea. Gli
angeli prendono corpo, ma i corpi si confondono in una inesausta ricerca e
anche i nomi si sovrappongono, si scompigliano e rigenerano nell’esercizio
persecutorio che vuole trasformare il sogno in realtà e la realtà in sogno. 
“Allora si levarono i demoni / che erano stati messi a
dormire / nei solchi del mondo prenatale / e miniarono mappe di itinerari
controversi / e costrinsero le salamandre ad annodarle col fuoco”
Vita e morte, ragione e passione, desolazione e straniamento
producono un senso di sgomento, la necessità di aggrapparsi a qualcosa e a
qualcuno che sappia condurci fuori dal terrore e dalla paura. E invenzione tra
le invenzioni nascono gli “Scarabangeli”, metà angeli e metà scarafaggi,
messaggeri inquieti, creature misteriose generate nell’Eden dove “un fulmine
tranciò / l’albero della Salvazione dai vinosi frutti”. L’intensità
dell’immaginazione trae potere anche dall’ipermetria dei versi che segnano come
una partitura musicale d’ampio respiro. E la musica in effetti fa da sfondo a
tutta la raccolta. Basta percorrere l’indice delle poesie per evidenziare
questo aspetto (“Tempo di rondò”, “Serenata”, “Buchstabenengel per la mano
sinistra”, “Due cori per flauto e tamburello”, “Musica per l’ora prima”,
“Ballata della figlia di Noè”). Musica e parole sono circostanze idonee e
confacenti nell’inglobare incubi e sogni, visioni apocalittiche e aspettative
epifaniche.
“La terra cominciò a tremare così forte! / Caddero muri /
con tutti i loro interni carichi e caldi/ si chinarono gli alberi/ a
raccogliere le loro foglie. / (…) L’anima, trasecolata, produsse santi.”
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Rossana Ombres (Torino, 1931 - Livorno, 2009) fu una voce
inconfondibile e inimitabile nel panorama letterario italiano del secondo
novecento. Nominata Accademico d’Italia, vincitrice di prestigiosi premi
letterari, quali il Viareggio, il Grinzane Cavour, tradotta in diverse lingue,
riuscì a interpretare i drammi e le ansie del secolo breve con una scrittura
ricca di spunti linguistici originali, unica e peculiare.  Fu Andrea Breda Minello che la definì “anacoreta
della parola”. Voleva intendere con ciò sia la grande attenzione che la
poetessa impose all’uso della parola come strumento principe di comunicazione
scritta, sia la sua attitudine e volontà di rimanere lontana dai salotti
letterari per coltivare un suo modus operandi alieno dallo spettacolo e
dalla notorietà. In effetti, pur lavorando alla Stampa di Torino, la sua
opera non ebbe alcuna affinità con altri scrittori, non si avvicinò a nessuna
scuola o gruppo poetico. Lavorò in solitudine e in solitudine rimase. Per tutta
la vita. E oltre. 
Enea Biumi
La giuria :Presidente/Rolando Perri – Dirigente scolastico, studioso donmilaniano, saggista e recensore letterario – Componenti/Antonella Daffinoti – Scrittrice e poetessa – Maria De Fazio –Operatrice sociale e divulgatrice culturale – Elvira Dodaro –Avvocato e poetessa – Tommaso Orsimarsi – Scrittore e saggista – Concetta Natoli – Poetessa e scrittrice –
Poco a poco il sole / annega nel lago / Con l’affanno in gola / guardo il giorno che se ne va / e la testa scivola / fra le onde del mio andare
Pace è questo lago che culla un barcaiolo / sulle onde della notte
nei tuoi sogni di bambino. // Pace è questa falce di luna allo spuntar del
giorno / che nasconde meretrici di uomini ubriachi. // Pace è questo pezzo di
cielo come un paradiso perduto / per ingoiare stregonerie solo per te nascoste.
Numerosi poeti, da tante parti del mondo al secondo streaming internazionale di Poesia "Anima e Core”.
Per l'Italia: Cesare
Castiglione, Rende; Prospero Antonio Cascini, Castelsaraceno, Potenza; Fausta
Centomani, Tolve, Potenza; Giuseppe Turiano, Messina; Rossella De Rango, Marano
Marchesato, Cosenza; Rita Scelfo, Palermo.
Per la Spagna: Ana Belén Fernández Garcia (Burgos).
Per il Messico: Rossy Chávez Distretto Federale) e Doris
Zoraida Telles Meneses (Toluca).
Per il Perù: Hernán Luis Anaya Arce (Chancay, Lima) e Clara Salas (Arequipa).
Per l'Uruguay: Josè Lissidini Sánchez (Minas, Lavalleja).
Per il Cile: Lilian Isabel del Rosario Pizarro Araya (Andacollo).
 Si esprime tanto apprezzamento per l’iniziativa e quindi un
ringraziamento ad Andrea Fabiani , presidente dell’associazione culturale Amici
della poesia di Cosenza e del suo Omologo Argentino Hugo Marsico!
Pier Vincenzo Mengaldo
scriveva che un’Antologia, com’è del resto questo annuario, è un peculiare
genere metaletterario. In effetti radunare in un unico testo tanti scritti
di diversi poeti e critici letterari è un atto che va “oltre” il
semplice intento letterario. È una specie di dichiarazione di poetica che
costringe il curatore ad uno sforzo di ricerca e di analisi nella valutazione
di quanto accade nel mondo della scrittura.
D’altra parte, solo a
scorrere le pagine di questo prezioso Annuario, ci si accorge di nomi che
rientrano tra i principali protagonisti della produzione letteraria italiana.
Certo, magari per qualcuno, ci sono nomi mancanti. Ma un’Antologia non pretende
di essere la consacrazione né tanto meno una lezione di verità. Si tratta
semplicemente di un riconoscimento, di una presa d’atto che per lo meno la
scrittura è ancora viva e tale pretende di rimanere. Del resto, come viene
esplicitato, nella presentazione, I limoni sono un “prezioso strumento di
aggiornamento e informazione per chi ama la poesia”. 
Tutto ciò è ribadito
anche dal saggio “Come (non) fare un’antologia della poesia” di
Francesco De Nicola, che prendendo lo spunto da una recente pubblicazione “Poeti
italiani nati negli anni 60. Letteratura come condizione” (Internopoesia,
2024) a cura di Francesco Napoli, afferma che “di tutti i libri che si
possono pubblicare questo (cioè l’Antologia) ha l’autore più discutibile”
perché spesso “riflette i gusti e le valutazioni” secondo “gli
orientamenti critici del tempo”. E a sostegno della sua tesi riporta vari
esempi, dalle antologie scolastiche a quelle per adepti, che qui è superfluo riferire.
Citerò solo un assunto che condivido in toto: “il compito di un’antologia è
quello di portare alla luce chi luce non ha”, sottolineando, come scrive l’autore,
che spesso le antologie, soprattutto quelle scolastiche, hanno limiti che
pregiudicano la comprensione della poesia, se non del poeta stesso.
L’annuario “I limoni” possiede
a mio avviso una qualità: quella di non presentarsi come il tutto, ma
come parte di un mondo letterario in evoluzione. E lo dimostra andando
direttamente a scegliere le recensioni del presente, in particolare del 2024, di
modo che si dà la possibilità al poeta di presentarsi in una veste critica
riguardante testi di recente pubblicazione, tralasciando invece di riportare,
come le antologie sic et simpliciter, vita e scritti di vari autori autorevoli
e non. Sarà poi il tempo a dar credito o meno ai poeti recensiti.
Va detto che, accanto
alle recensioni, il lettore trova pregevoli saggi che gli permettono una più
matura e completa comprensione della letteratura non solo contemporanea. Mi
limiterò, tuttavia, purtroppo alla sola citazione, sia dei saggi che delle
recensioni, non avendo a disposizione uno spazio necessario per parlare di tutto
e di tutti.
Ecco allora gli autori,
recensori e recensiti, e il contenuto dei vari contributi pubblicati.
I recensori sono: Fabio
Contu, Francesco De Nicola, Alessandro Fo, Alessandro Franci, Giuseppe
Grattacaso, Vincenzo Guarracino, Giuseppe Langella, Massimiliano Mandorlo,
Simona Mancini, Baldo Meo, Francesco Napoli, Lorenzo Pataro, Sara Vergari,
Marco Vitale.
I recensiti sono: Laura
Acerboni, Lorenzo Babini, Pier Luigi Bacchini, Elisa Biagini, Piero Buscioni,
Barbara Carle, Alessandra Corbetta, Maurizio Cucchi, Roberta Dapunt, Mauro De
Maria, Mary de Rachewltz, Massimiliano Luca Delfino, Cinzia Demi, Carlo di
Francescantonio, Alberto De Raco, Paolo Di Stefano, Umberto Fiori, Alessandro
Fo, Erika Formazaric, Alessandro Franci, Giovanna Frene, Andrea Giampietro,
Michele Graziosetto, Maurizio Gregorini, Paolo Lanaro, Giuseppe Lagella,
Manfredi Lanza, Isabella Leardini, Dante Maffia, Roberto Maggiani, Beppe
Mariano, Maurizio Marotta, Vincenzo Mascolo, Francesco Paolo Memmo, Daniele
Mencarelli, Claudia Mencaroni, Marco Pelliccioli, Daniela Pericone, Antonio
Prete, Davide Puccini, Valentino Ronchi, Mauro Sambi, Alberto Schettini, Ida
Travi, Rosella Valdré, Marco Vitale.
Non posso certo
tralasciare di riportare anche gli autori e i titoli dei saggi che ritengo
assai interessanti proprio per quelle peculiarità segnalate in antecedenza.
I saggi sono: “Debut du
siècle in Italia: Aldo Palazzeschi tra liberty, crepuscolarismo e Novecento” di
Francesco Napoli; “Palazzeschi e il futurismo: un rapporto unico” di Federico
Gobbetti; “Le ‘Cannonate’ di Tizzoni-Finzi di fronte al futurismo” di
Elvio Guagnini; “Guardare un’arancia sette volte” di Silvia Vecchini; “Come
(non) fare un’antologia della poesia” di Francesc De Nicola; “Note sulla
punteggiatura nera e bianca nei testi poetici contemporanei” di Elisa Tonani; “L’Orazio
italiano: Giosuè Carducci e l’innovazione metrica del Novecento” di Fabio
Contu; “La trasformazione del testo” di Pier Luigi Ferro; “Il viaggio che
dura di Tommaso Lisi” di Raffaele Pellecchia; “In ricordo di Lorenzo Pataro”
di Giuseppe Grattacaso.
L’annuario termina con l’indicazione
di alcune pubblicazioni di saggistica, di alcune traduzioni, e di alcuni
concorsi.
Ripeto, per finire, l’opportunità
e direi quasi la necessità di libri come “I limoni” perché non se ne sa
mai abbastanza di quello che avviene nel mondo tanto variegato della letteratura
molto spesso legato a correnti, circoli, editori che raccontano solo di se stessi
e non di altri. Io stesso devo confessare che tra gli autori pubblicati posso
dire di conoscerne pochissimi. Ma sento e credo che allargare i propri
orizzonti sia necessario. Alla fine ognuno farà le sue scelte, ma almeno con
conoscenza di causa e senza pregiudizi di sorta.
Enea Biumi
È un testo che profuma di terra e di memoria , un omaggio alla lentezza e alla bellezza essenziale della vita lucana. Con la “ lucanità ...