Rappresentare l’amore attraverso tutte le sue sfaccettature non è impresa facile. Tanto più se il racconto viene costruito in versi. Ciò evidentemente non ha spaventato Angelo Manitta che nel suo poema “Nel volto di Mirra” è riuscito a cogliere i vari gradi dell’amore trasportando il lettore in quel mondo sentimentale raccolto in personaggi mitologici e non, eroici o profani essi siano.
“L’amore
è un fiore / nato dal nulla e nel nulla dissolto, // rinverdisce le giovinezze
e smorza gli animi / nella vecchiaia inquieta, vissuta senza vita, / spenta
senza morte, per reggere sulla croce / l’esistenza fredda dell’ultima parola”.
Il poema ha come un
andamento di exemplum: un itinerario,
tra finzione e realtà, che occupa una miriade di situazioni, luoghi,
circostanze tra loro interagenti, animati e stimolati, sofferti e combattuti, immaginifici
e verosimili. Il tutto in nome e per conto dell’amore.
Si sa che l’exemplum
è un racconto veridico, tipico della letteratura medievale, a scopo
didattico-religioso in cui il protagonista alla fine raggiunge la salvezza
dell’anima. In questo poema rievocativo delle tragedie alfieriane gli exempla sintetizzano le più svariate
emozioni causate da storie e accadimenti inerenti l’amore stesso. Eroi ed
eroine affrontano il senso di vite tribolate, spesso contorte, sicuramente
illuminanti ed illuminate da ardite metafore atte a dare il la a considerazioni
e valutazioni che trasportano il lettore verso una analitica riflessione
sull’oggetto amore. La salvezza
dell’anima, contemplata negli exempla
medievali, in questo caso, è la catarsi che alla fine di ogni episodio, dopo
una delucidante e serrata dialettica, risulta essere la conoscenza del bene e
del male.
“Dalle rocce dell’anima” grazie alla “figura ieratica d’un poeta” che
“mescola la tragica verità con la vita” sgorga,
come una magia e quasi per intervento divino (“Marte dal rosso viso d’azalea”, “impavidi profili che Antares
ripercorre”, “nostalgie d’infanzie, curve soglie di mistiche gelosie”), una “eterna simbiosi” tra l’autore e il
poeta che ha suscitato queste emozioni e che ha fatto rivivere episodi e personaggi in
una unità di sentire. Si scoprirà in
seguito che il poeta influente è Vittorio Alfieri e lo sviluppo dei temi
amorosi è la sequenza delle sue tragedie sulle quali emergerà il dramma di
Mirra.
Prima ancora della
rievocazione delle tragedie alfieriane, tuttavia, Angelo Manitta si sofferma
sugli amori dell’Alfieri stesso: il primo, giovanile e folle, con Penelope Pitt (“La donna, dal manto di grano, appare /
fugace baccante tra le braccia d’uno stalliere”); il secondo, non meno
tumultuoso ma più duraturo, con la contessa d’Albany (“La trasparente figura d’Emmanuelle d’Albany / distrasse i miei occhi”).
Dopo la descrizione
delle due donne che hanno trascinato con sé il cuore del grande astigiano,
rivediamo Merope e la accogliamo tra le sue dubbiose riflessioni, “eternamente infelice (…) donna-oggetto,
baratto / di sensualità, soprammobile abusato, / consumato da voglie malsane, /
gettato nel letamaio d’una cloaca (…)”. Lo sguardo dell’autore poi si posa
su Ottavia “che muore / tra fiamme
inviperite d’una Roma incendiata”. Allo stesso modo si consuma la vita di
Romilda, vittima d’una gelosia inconsulta, mentre “il vate impietrito si contrappose ai miei occhi” prosegue Angelo
Manitta “Le sue immagini creaturali
diventarono mie. / Una simbiotica osmosi fuse le emozioni”.
Il poema, ora, giunge al
culmine dell’ispirazione trattando il dramma di Mirra. Inutile sottolineare come
l’osmosi letteraria prosegua in un susseguirsi di immagini, riflessioni,
metafore che coinvolgono l’emotività del lettore. Citerò solo alcuni punti che
più mi hanno affascinato, rimandando il lettore alla scoperta di tutto il
poema.
Sentite la delicatezza
amorosa di questo passo in cui il padre, Ciniro, pensa e trasfigura l’immagine
della figlia: “Il tuo volto di luna è
sorto / ad oriente e il mio tenero cuore / luce imperlata di tristezza /evasa
in arabeschi di libertà, // sussulta come un bambino danzante, / sorregge i
tuoi occhi di perle, / incendia il mio senile tormento”. Oppure ammirate
quegli spazi che Manitta dedica ai simboli e alle metafore come questi versi
emblematici e che danno ulteriore vivacità al poema: “L’estate sorride a farfalle / esuberanti di luce e d’amore / sui rami
inclinati dal vento, // sul volo delle rondini migranti. / I fiori occulti cercano
/ ardore di tombe. Vinceremo / il mare e le tempeste // per sfondare i battelli
delle notti, inerpicarci a ruvidi orizzonti, / arrotare l’acqua coi coltelli /
e spegnerci nel fragore delle onde”, dove si delineano sentimenti
contrastanti d’amore, di morte, di tradimenti, di travagli, di sogni e
speranze.
Insomma, si sovrappone in
questo itinerario d’amore una miriade di impressioni che ora sembrano tempeste,
ora dolce quiete. E le parole di Manitta diventano quelle dell’Alfieri, e
quelle dell’Alfieri amplificano le parole di Mirra e di Ciniro, e la natura fa
da sfondo e controcanto ad un dramma che diventa perpetuandosi eterno. Così che
alla fine “i sensi si smarriscono tra le
rughe degli anni, / rapide gocce di miele cospargono, / come lagrime amare
d’una amata mirra, / il volto del vate che, statua di marmo, / accoglie,
insensibile, venti e tempeste”. Ecco, allora, come il titolo stesso del
poema viene di fatto recuperato. Nel volto di Mirra effettivamente vengono a
specchiarsi Alfieri, i suoi drammi e, aspetto non del tutto scontato, anche
Angelo Manitta.
Un ultimo e non meno
importante commento va fatto a proposito della struttura del poema. I versi,
come viene indicato dall’autore stesso, apparentemente sembrano liberi. Sono
invece quadrimetri, cioè con quattro arsi principali e quattro parole portatrici
di significato, oppure trimetri, vale a dire con tre arsi principali. Si tratta
di una particolare forma che vuole evidenziare metrica e musicalità della
poesia attraverso il recupero della parola chiave contenuta nel singolo verso. Alla
fine di una accurata analisi attraverso esemplificazioni esaustive a supporto
di quanto esplicitato sopra, Manitta sottolinea che “il lettore che si avventura nella lettura di questo poema, si troverà
come in una foresta, rimarrà spaesato di fronte ad una poesia che esce fuori
dagli schemi tradizionali e da un consolidato sistema letterario. Ma
probabilmente, scoperta la chiave di lettura, si avventurerà con delizia,
oppure poserà il libro sul tavolo per sempre.”
Enea Biumi
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