La storia della Regina di Saba viene narrata in tre libri diversi che rimarcano sostanzialmente un’unica vicenda: l’incontro della Regina con Re Salomone. Sia nella Bibbia, che nel Corano e nel Kebra Nagast, al leitmotiv dell’ammirazione della Regina per Re Salomone, si aggiungono la smisurata ricchezza del regno di Saba donata al Re e velatamente, per il Corano e la Bibbia, esplicitamente per il Kebra Nagast, l’amore tra i due regnanti. Gli studiosi hanno tentato di storicizzare l’avvenimento, ma rimangono dubbi e la distanza fra religione, leggenda e storia sembra non essere colmata.
Tuttavia, ciò che non riesce agli studiosi viene raggiunto dai
versi di Angelo Manitta che, in un unicum coinvolgente, attraversa storia,
leggenda, religione, offrendoci un ritratto che va ben al di là del dato
contingente per trasformarsi in qualcosa di immateriale, universale e senza
tempo. La poesia ha questa capacità illuminante e trasformatrice, sa uscire dal
marcescibile e donarci l’ebbrezza dell’assoluto.
In questo contesto il lettore affronta lo stesso viaggio regale della regina di Saba e si ritrova immerso in un mondo favoloso, al limite della magia e del surreale. È, tale, la funzione dell’incipit che ci introduce in una meravigliosa luminosità (“Sgranano grappoli di luce le alcansie / lanciate nell’aria da rotondi universi”) e il deserto diviene motivo di curiosità e di racconti ancestrali dove si misurano donne impaurite dai serpenti e bimbi incuriositi, dove le carovane attraversano esotiche dune e la sensualità si scontra con demoni tentatori. Siamo davanti ad una sorta di prefazione che serve ad introdurci nel munifico mondo d’una regina, che non solo offre al re stupende e innominabili ricchezze, non solo fa richiesta di strani e variegati quesiti, come se volesse testare la sapienza di Salomone, ma si concede in toto ad un amore sublime, materiale e spirituale allo stesso tempo.
Ecco allora che lo scandire delle azioni segnano il destino
degli amanti e le voci che si susseguono hanno la complicità e la varietà di un
andare musicale che accompagna gesti e pensieri. “Le mie parole volano in
eccelsi pinnacoli / e lì restano appiccicate in muti frontoni”. Ma non
esistono solo parole “che inseguono parole”. Esiste l’incombenza del
viaggio, l’anelito dell’incontro. La regina è circondata dal desiderio, immersa
in “tentazioni di stelle / flagellate dai tramonti (…) giochi d’amore / che
risvegliano fantasie di Eros nella bellezza / d’un maschio, sesso innocente di
piaceri.” Però il cammino sembra incedere lento, mentre “scie di
carovane (…) attraversano la pianura, solcano / il deserto”. E l’aspettazione
diventa bramosia d’amore. “Il sangue giovanile /delle sue passioni scorre in
fantasticherie / erotiche d’un giovane re che la violenti”.
La distanza geografica non si riduce ancora. Si fa sentire
nell’animo. Si traduce in similitudini evanescenti come sono evanescenti i
sogni e i desideri. “La strada è lunga, gli argini indefiniti” e non è
sufficiente l’oro di Ofir o le tazze di smalto o i tavoli d’argento. La regina sembra
impaziente, è impaziente: “spinge con gli occhi i saturi cammelli”, sebbene
nel frattempo “L’ansia dell’alba si è spenta nell’ombra / di un’oasi.” E
finalmente si annuncia lo sposo, in tutta la sua regalità di “nordico re”,
nella considerazione amorosa, nella dolcezza di una fantasia avveratasi nel
momento in cui “porge la mano ai datteri che pendono / dalla bocca di una
bianca imperatrice innamorata”.
L’incontro, a questo punto, palesa non solo la gioia
rasserenatrice della regina ma l’entusiasmo di un’intera popolazione, che si
vede come liberata da un incubo. “Mormora il passante tra le viuzze cupe, /
borbottano le voci entro le case buie. / Le maghe agli angoli fanno sortilegi,
// le puttane aprono le gambe agli avventori, / ignari dei turgidi sessi
abominevoli. / In filari, le porte, chiuse con spranghe / di legno, ondeggiano
al venticello delle colline, // e foreste di cedri, piantate sulle strade, /
come scheletri di abeti sognano ogni notte / giochi d’amore e coppe di vino /
innalzate al cielo per essere bevute.”
È facile notare, ora, che il seguito della regina (e ormai
anche del re) non è costituito solo da uomini, servi e liberi allo stesso tempo.
Il contorno che riempie lo spirito degli amanti è composto pure dalla natura
che segue, come in un tripudio magico, l’unione dei due protagonisti.
Dapprima la regina pone quesiti a Salomone che risponde in
maniera saggia e perfetta. “Gli occhi si incrociano in una sfida di sapienza:
/ enigmi proposti contro enigmi sciolti”. In un secondo momento,
abbandonate domande e sentenze, l’amore tra i due raggiunge il suo acme. Amore
sensuale e amore spirituale si intrecciano intersecandosi senza tregua. La descrizione
che ne sorte ha un che di sublime. Non c’è volgarità, sebbene le parole
mostrino tutta la carnalità dell’essere umano. Ciò che si sottolinea è la
felicità dei corpi e dell’animo: è la vita stessa che dona e si abbandona in un
viluppo di estremo edonismo, nel pieno piacere di ricevere ed elargire vicendevolmente
i propri corpi e la propria anima.
Il paragone col “Cantico dei Cantici”, attribuito come si sa
al re Salomone, viene, a questo punto, spontaneo. Sebbene, a mio avviso, al
testo di Manitta non posso ascrivere valori simbolici bensì filosofici. C’è
infatti un’iterazione di concetti che trascendono la semplice metafora. I termini
“ricchezza”, “onestà”, “felicità”, “bellezza” sono ripetuti, nel susseguissi
delle quartine, ben quattro volte ciascuno e all’inizio di ogni quartina, dando
risalto e valore a quello che di più prezioso l’uomo possiede. Qui il poeta
sembra voler uscire dalla narrazione e farci riflettere anche sull’attualità. Alla
fine, se è vero che la ricchezza è stata un fattore intrinseco alla visita
della regina di Saba, è pur vero che non è sufficiente, così come non sono
sufficienti la bellezza o la stessa onestà. È necessario amalgamare il tutto perché
solo in questo modo “la saggezza dell’uomo si misura nel vivere / distaccati
dal mondo e dalle emozioni” e “la saggezza d’una donna innamorata sta /
nel capire che tutto è finito”. Vale a dire è necessario possedere la
capacità di andare oltre la passione. Sembra quasi di ascoltare la filosofia di
Epicuro in questi ultimi versi che terminano con una descrizione disincantata, e
liricamente avvolgente, della natura.
“Canta / il vento una canzone triste alla partenza //
della carovana, piangono i cammelli e i cammellieri, / piange il suo cuore nell’ultimo
sospiro. / L’orizzonte che accoglie umidi albori / spegne nell’aria emozioni d’amore”.
Enea Biumi