L’accenno riproduttivo e fecondo esegue una partitura
dialettica dove tesi e antitesi sono il puro e l’impuro. Sintesi diviene la
trasparenza, forse il grande vetro del mondo digitale che confonde e scambia le
parti. E proprio “Trasparenza” è il titolo del libro di poesia proposto da
Maria Borio. C’è, inizialmente, un tentativo di fuga dalla rigidità della forma
a vantaggio di una materia che si pone come inalienabile confronto. La
struttura testuale determina una successione strofica a costruzione compatta,
volutamente ancorata ad una tecnica dicibile estremamente controllata,
riportata ad una geometria nitida che si sente quasi costretta a rendere
ragione di una partitura non limitata all’univocità della determinazione
versificante, ma tale da confidare nella ricezione consapevole attuata in
visibilità reiterata, attraverso una orchestrazione di messe a fuoco su
elementi correlativi. Ci si affida alla responsabilità del lettore affinché
osservi, nella determinata volontà di attenzione, le parole idonee all’umano.
“L’attrito sempre quando capita una coincidenza”; d’altra parte, si sa, il
tomismo ci ha insegnato che pensiero e linguaggio, poiché sono qualcosa, sono
nell’essere; essere e linguaggio, in quanto pensati, sono nel pensiero; essere
e pensiero, in quanto detti, sono nel linguaggio. Operare una sintesi è anche
sezionare l’accortezza delle differenze, natura data e tecnologia imposta. La
scrittura segna il limite esatto che traccia il cammino percorribile nella
dinamicità cognitiva della scelta. Un tessuto prosastico accentua l’evoluzione
del dettato stilistico, imprime alla tersa qualità della pagina la calibratura
parsimoniosa della comunicazione. D’altra parte, il luogo ci abita; scrive
Maria Borio: “Eri nel punto più alto della scogliera/ nel vento del nord
affilato, lunare”. Un caleidoscopio di frammenti intende risuonare alto, quasi
a confessare una composta critica del virtuale, un bisogno intimo di contatto
con le cose in atto, con gli eventi...”-siamo una finestra senza imposte,/ il
vetro su cui le storie aderiscono-“. Il procedimento logico, a volte, introduce
sinapsi tra ambientazioni concettuali differenti, appellandosi ad una
intenzione suggerita di oltrepassare la visibilità costituente l’accessibile,
in uno struggente diramarsi filtrato; “Ma adesso alberi è una parola irreale” e
molto sfugge alla gradualità della proposta, alla difficoltà del partecipare, a
quella condizione che, per dirla con William Gaddis, porta all’agonia
dell’agape. Le imperfezioni sono tagli esistenziali nella continuità di un
confronto di elementi tra purezze e impurità, nella vocazione che si fa opzione
di recupero in memoria di dialoghi perduti. Diafano il profilo femminile che
dirime assunzioni materne nella vulnerabilità delle trasformazioni ancorate, da
ipotesi di abbandono che funestano il dettato tecnologico quale motore acefalo,
caravanserraglio sterile. Ma la risposta è nell’eco di tracce dove la parola
conduce alla storia; ed allora sembra davvero che “luci/ magre ed elettriche”
occhieggino Govoni, e le modalità trasparenti, Stevens. Maria Borio ci avverte:
“Hai il petto spaccato, scrittura e lavoro/ sono immagini: l’acqua si apre a
cerchi/ come il cadere continuo/ degli occhi sulla fontana...” poi, tratteremo
altra modalità connotativa, diversa applicazione in lessico, rivolta poetica
nei confronti di un’incombente assuefazione alla passività dei contenuti, mentre
“ci siamo persi di notte su questa riva,/ le luci oscillano sopra le spalle”.
Andrea Rompianesi
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