Un esordio poetico di coinvolgente tessitura e specifica
maturità. Attraverso un sentire partecipe espresso in versi che contemplano, in
una asimmetria votata alla variazione, il rivisitare interpretativo
dell’episodio dicibile nella sua empatica ragione. “Scavi Urbani” è l’opera
prima di Giovanni Lovisetto che si sviluppa dagli ambienti toscani dell’origine
alla New York acquisita nella sua potenzialità includente. L’interiorità scava
il sentiero più intimo della confessione sensuale e premia l’attesa della
finitura linguistica nella peculiarità della disciplina semantica. Comunque,
prima della specifica attenzione, è il lasciarsi andare all’onda di un
desiderio abilitante la facoltà di nominare. E’ l’attesa del ritorno, nella
danza degli incontri che affluiscono alla coscienza del fatto; allora “ti
chiederai se è vera la condanna/ mentre l’assoluzione ancora tarda/ e speri sia
l’ultima corolla/ che si apre/ a maggio inoltrato nel roseto”. Ricerca di una
voce consapevole degli echi, paesaggi sfumati, coincidenze e intermittenze,
timori partecipati nei dettagli serali; l’intenzione di Lovisetto naviga tra i
colori delle varianti, nelle affettività segnate dall’alternarsi del perdersi e
ritrovarsi a quel punto forse mutati, come ricreati in una limpidezza assorta.
“Era luglio, ma poteva/ essere per sempre,/ sabbia tra le dita/ che non
scivola”; clausure finiscono e attese bruciano, nella composta evidenza di un
assalto che impedisce la resa, converge in una paziente volontà di discernere i
moti sotterranei e palpabili, le levigatezze che estendono la peculiarità di
una flagranza concessa. Variazioni in tonalità discorsive accompagnano il
dicibile delle voci ritraibili dalle modulazioni dei respiri. L’osservazione,
sembra dire l’autore, comunicherà “se noi sapremo (lo dicono/ i tuoi occhi e i
palmi)/ rivendicarci sempre un po’ di spazio,/ accorciando chilometri”; quasi
il gesto a cui ricorrere per acquisire la consapevolezza di piacere, nella
agibilità dell’incontro. Ci sono poi poesie in cui lo sguardo si apre sullo
scenario americano e nelle quali si distingue la ricezione degli enti
tangibili, propriamente corrisposti in correlativi matericamente identificati,
quando “cambia il suo volto in ponte/ grattacielo parco insegna al neon/ statua
megastore o truck/ di cucina greca su Amsterdam Ave”. Le luci e le foglie, la
pioggia e le strade, le fermate della metro, gli angoli e i corpi esprimono
l’acutezza del sentire, l’epidermica passione nuda, l’epifania perturbante dei
tratti amati, la predominanza delle attese e dei rimandi, l’esprimibile
vicissitudine del passo nomade. Siamo, con la poesia di Giovanni Lovisetto,
forse “in cerca di una dose di cielo,/ di venature celesti inclini al viola”.
Andrea
Rompianesi
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