Il 10 maggio, a partire dalle ore 13,30, a seguire per il dì successivo, presso la Sala Basilicata, al Salone del libro di Torino è approdata l’opera: “L’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico”, un libro di poesie e fotografie dei cugini Prospero e Valerio Cascini, edito da Salvatore Monetti, di Battipaglia, nel 2023. La pubblicazione contiene una raccolta di liriche in italiano e in vernacolo, arricchita da intense immagini, prodotte a cura de grandioso intellettuale, nonché editore Salvatore Monetti. A coordinare i lavori si è prestata la giornalista Maria Brigida Langellotti, capo dell’ufficio stampa del Consiglio Regionale della Basilicata. I cugini Cascini, compagni di scuola alle elementari, in particolare compagni della ‘primina’ del Cinquantasei, fatidico anno della nevicata sul cupolone, hanno coltivato la poesia nel tempo. Valerio, da giovane, si è trasferito a Torino, mentre Prospero è rimasto in Basilicata. Valerio scrive in vernacolo, Prospero in italiano: “Una testimonianza dell'amore per la Lucania e un omaggio al proprio paese di origine, Castelsaraceno, in provincia di Potenza”. Dal tempo della poesia si è passati così alla poesia nel tempo: il tempo della poesia è l’infanzia, l’adolescenza, poi si passa alla prosa, come diceva Croce. Ma quello spirito poetico resta sempre, quel “fanciullino”. Pascoli aveva insegnato anche a Matera, dove quei “Sassi”, piccole casette, naif, avevano ispirato senz’altro i temi della piccolezza, del nido.
“L’unicità della Lucania” riprende senz’altro la “Lucanità saracena”, edita sempre da Monetti nel 2022. Continua quel percorso che accomuna l’”antico testamento”, cioè la vecchia lingua, il vernacolo, col “nuovo testamento”: “Un libro di ricordi e di nostalgia”, - si legge tra le News del Consiglio Regionale di Basilicata - “in cui emerge il connubio tra poesia e fotografia e i veri protagonisti sono i versi in vernacolo e in italiano”. “È un volume - ha sottolineato Valerio Cascini - che mette insieme la parola in italiano e in dialetto e anche un altro linguaggio, che è quello fotografico. In questo lavoro c’è l’intento di dare della Basilicata una visione compiuta e di unicità attraverso le varie forme espressive”. “Le fotografie sono opere dello scrittore-editore Salvatore Monetti: “Il connubio tra poesie e fotografie - ha spiegato - nasce dal legame dell’editore Monetti per la Lucania, terra che ha saputo accoglierlo”. Lo scrittore ed editore Salvatore Monetti è legato a questa terra ancestrale, che un tempo giungeva fino al Sele, quindi inglobava tutto il Cilento. Il “Ciliento” e il “Saliento” erano i confini del mondo. La “Lucanità” serafica” come la definisce Prospero, ha trovato la sua massima espressione in ogni forma d’arte: nasce, infatti, una felice associazione (le menti associate di Cattaneo) tra poesia, fotografia, musica e pittura. Alcune poesie dei nostri autori sono state musicate dal Maestro Giulio Dammiano di San Chirico Raparo. Ed altre hanno trovato riscontro in delle meravigliose pitture dell’artista piemontese Gianni Bergamini: in particolare, una pittura del pino loricato esprime un elogio della poesia di Valerio Cascini. Il pino loricato, detto così perché ha una corteccia spessa, quasi un’armatura naturale, è una specie rarissima di conifere, che cresce solo sull’appennino lucano, sul monte Alpi e sul Pollino, e cresce ad altezze elevatissime, su profondi balzi. Certamente indica l’attaccamento tenace alla nostra terra. Il pittore, presente al salone con una sua opera, ha raccontato che “il quadro si intitola Matera”. Matera è una città antichissima, semenza di civiltà. Nel corso della presentazione sono state declamate da Valerio e Rosa Cascini. delle poesie del volume, in vernacolo e in italiano. “L’unicità della Lucania” è un cammino che si esprime attraverso la dedizione della parola e l’espressività dell’immagine, è un cammino che per così dire, parte dagli antichi tratturi per finire sulle autostrade del mondo, fin dove questa lucanità si è spinta, anche con l’emigrazione storica. Lo spirito di un popolo non si perde mai. “Cché ni sapése vùie, cché ni sapése, / di quanne m’arrampichèje/ a quillu mure facce-front’ ’a porte/ d’ ’a chèsa mméje?” - recitava Albino Pierro. E così noi rimaniamo estasiati dinanzi a quelle espressioni vive, genuine, forti, della nostra lingua, che tenta di esprimersi, di uscire al giorno, dal fiume della dimenticanza, il Lete, che tenta di svelarsi nel tempo (l’ἀλήθεια, la verità dei Greci).
Vincenzo Capodiferro
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