martedì 14 maggio 2024

Gianfranco Lauretano “Questo spentoevo” (Graphe.it Edizioni, 2024)

“Sono partiti tutti./ Hanno spento la luce,/ chiuso la porta, e tutti/ (tutti) se ne sono andati/ uno dopo l’altro”. Sono versi di Giorgio Caproni, autore di riferimento nell’opera “Questo spentoevo”, titolo caratterizzato da un efficace neologismo di Gianfranco Lauretano. Il dialogo con i maestri detiene la possibilità feconda, giustamente incisa in controcanto, di accordare tematiche e sviluppi, fonetiche e ritmi ad una rielaborazione condensata nella scommessa sull’attuabile osservazione dei passi contemporanei; in una riflessione che vede l’autore indicare la nostra comune epoca come innegabilmente spenta e depressa. Lauretano analizza con versi innescati dalla pratica del dicibile l’occasione rilevata nel quotidiano muoversi, nella partecipata attenzione: “tra le membra e l’anima/ la carne si fa pensieri/ parole, opere e omissioni/ e tribunali e colpe/ e poche assoluzioni”. Secchi rimandi di assonanze e rime intendono asserire propositi dichiarativi, in pratiche di amara ironia, quest’ultima specificamente indirizzata, ad esempio, alla critica nei confronti dei media, alla loro natura strumentale e manipolatrice. C’è un bisogno intimo di alternative, nella poetica dell’autore, di quel senso di sacralità viandante, nomade, però percepibile nella prossimità: “tante volte nel giorno devastato/ avanzavo per strade polverose/ e inabitate, ma quando comparivi/ cercavo di toccare il tuo mantello”, in un riferimento evangelico. L’insidia è nel subire la forza e l’energia contenute nella bellezza che diviene una prospettiva spesso inagibile, sfuggente o illusoria, tale da farci sperimentare i fallimenti, quell’amare solo le rose che non colsi, citando Guido Gozzano, altro poeta di preciso orientamento per l’autore. In “Questo spentoevo” si percepiscono anche filigrane naturali che portano a vibrare segnali non dichiarati di quella terra di Romagna che ha nutrito, fra i molti,  poeti come Ferruccio Benzoni e Stefano Simoncelli. Sembra allora che il giallo luminoso e settembrino di Lauretano si vada quasi a confrontare con il diverso giallo asfissiante dei crisantemi di Benzoni. L’intimità poi si aggrada sulle note di una rapidità lessicale intonata al battito sonoro verso l’accostarsi alle cose, agli oggetti, trattenuti in una corresponsabilità attuata e vigile, tale da farci comprendere come la parola poetica coinvolga gli elementi più profondi del sentire, una pratica stilistica rivelatrice e, nello stesso tempo, capace di procedere verso un dato sempre ulteriore. Approccio devoluto in sensibilità ricettive e propriamente selettive in linea con il temperamento fruibile dei versi, della loro proposta estesa alla decifrazione di un contesto sensibilmente visivo, come ritratto invernale: “La città azzera la sua storia/ lottiamo con la lastra livida/ dei selciati, interni ed esterni/ si rifiutano a vicenda, dopo due/ minuti la bellezza s’è ibernata”. Ecco, la poesia di Gianfranco Lauretano qui lotta con i tempismi contingenti per trasformarli nella danza espressa dal suono delle parole perché, comunque, è bene rendersi conto che, nonostante tutto, “dietro le nubi persiste un sole/ ma ama andarsene e tornare/ seminare la storia un’altra volta”.

 

             Andrea Rompianesi

 

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