“Sono partiti
tutti./ Hanno spento la luce,/ chiuso la porta, e tutti/ (tutti) se ne sono
andati/ uno dopo l’altro”. Sono versi di Giorgio Caproni, autore di riferimento
nell’opera “Questo spentoevo”, titolo caratterizzato da un efficace neologismo
di Gianfranco Lauretano. Il dialogo con i maestri detiene la possibilità
feconda, giustamente incisa in controcanto, di accordare tematiche e sviluppi,
fonetiche e ritmi ad una rielaborazione condensata nella scommessa
sull’attuabile osservazione dei passi contemporanei; in una riflessione che
vede l’autore indicare la nostra comune epoca come innegabilmente spenta e
depressa. Lauretano analizza con versi innescati dalla pratica del dicibile
l’occasione rilevata nel quotidiano muoversi, nella partecipata attenzione:
“tra le membra e l’anima/ la carne si fa pensieri/ parole, opere e omissioni/ e
tribunali e colpe/ e poche assoluzioni”. Secchi rimandi di assonanze e rime
intendono asserire propositi dichiarativi, in pratiche di amara ironia,
quest’ultima specificamente indirizzata, ad esempio, alla critica nei confronti
dei media, alla loro natura strumentale e manipolatrice. C’è un bisogno intimo
di alternative, nella poetica dell’autore, di quel senso di sacralità
viandante, nomade, però percepibile nella prossimità: “tante volte nel giorno
devastato/ avanzavo per strade polverose/ e inabitate, ma quando comparivi/
cercavo di toccare il tuo mantello”, in un riferimento evangelico. L’insidia è
nel subire la forza e l’energia contenute nella bellezza che diviene una prospettiva
spesso inagibile, sfuggente o illusoria, tale da farci sperimentare i
fallimenti, quell’amare solo le rose che non colsi, citando Guido Gozzano,
altro poeta di preciso orientamento per l’autore. In “Questo spentoevo” si
percepiscono anche filigrane naturali che portano a vibrare segnali non
dichiarati di quella terra di Romagna che ha nutrito, fra i molti, poeti come Ferruccio Benzoni e Stefano
Simoncelli. Sembra allora che il giallo luminoso e settembrino di Lauretano si
vada quasi a confrontare con il diverso giallo asfissiante dei crisantemi di
Benzoni. L’intimità poi si aggrada sulle note di una rapidità lessicale
intonata al battito sonoro verso l’accostarsi alle cose, agli oggetti,
trattenuti in una corresponsabilità attuata e vigile, tale da farci comprendere
come la parola poetica coinvolga gli elementi più profondi del sentire, una
pratica stilistica rivelatrice e, nello stesso tempo, capace di procedere verso
un dato sempre ulteriore. Approccio devoluto in sensibilità ricettive e propriamente
selettive in linea con il temperamento fruibile dei versi, della loro proposta
estesa alla decifrazione di un contesto sensibilmente visivo, come ritratto
invernale: “La città azzera la sua storia/ lottiamo con la lastra livida/ dei
selciati, interni ed esterni/ si rifiutano a vicenda, dopo due/ minuti la
bellezza s’è ibernata”. Ecco, la poesia di Gianfranco Lauretano qui lotta con i
tempismi contingenti per trasformarli nella danza espressa dal suono delle
parole perché, comunque, è bene rendersi conto che, nonostante tutto, “dietro
le nubi persiste un sole/ ma ama andarsene e tornare/ seminare la storia
un’altra volta”.
Andrea Rompianesi
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